Recensione: Last of a Dyin’ Breed
Mentre il grande orologio della storia detta e scandisce il tempo che passa, qualcuno ha fatto proprio il mestiere di illudere il misterioso marchingegno, trovando il modo di aprire una finestra su tempi e luoghi ormai scomparsi. È il caso dei Lynyrd Skynyrd, tra gli ultimi esemplari di una razza purtroppo in via di estinzione: quella dei purosangue del rock.
Senza dubbio, negli anni scanditi da questa diabolica invenzione, poche band racchiudono cronache simili a quelle che hanno segnato le vicende di questi umili personaggi della provincia sudista americana: dai primi passi alla tragedia aerea del 1977, fino alla rinascita di una tradizione familiare che la nuova generazione di Van Zant, nelle vesti di Johnnie, ha deciso di tenere viva. Momenti importanti che hanno segnato la band profondamente, nella formazione e sí, anche nella qualita’ della propria musica, ma non ne hanno cambiato l’anima e lo spirito.
Come ogni specie in via di estinzione che si rispetti, i Lynyrd Skynyrd sono attaccati al proprio patrimonio genetico con gli artigli e con i denti: la loro controversa visione sudista e la loro musica datata, spesso intransigente nei modi e nei temi, sarebbero sulla carta ostacoli al successo mainstream che peró continua ad arrivare, anche in tempi politicamente corretti come questi. Non solo, per la band diventano ancora una volta i fermi punti d’orgoglio di un modo di fare musica che non si piega. Il pubblico é ancora una volta pronto a chiudere un occhio e ad aprire le orecchie alla grande musica che gli Skynyrd hanno regalato, nei primi e ora anche negli ultimi anni della loro carriera.
Tre anni dopo il bellissimo ‘God & Guns’, che aveva avuto il merito di riportare la band a livelli dimenticati sin dai tempi di Street Survivors, gli Skynyrd bussano nuovamente alla nostra porta, con gli stivali pieni di polvere e un honky-tonk in spalla. Portano la buona novella di ‘Last of a Dying Breed’, disco che qualitativamente si avvicina tantissimo a ‘God & Guns’ con una buona fetta di classe che si dipana tra i solchi di un album che, come da tradizione Lynyrd Skynyrd, un po’ esalta e un po’ fa sognare. Non manca infatti quel retrogusto malinconico che da sempre caratterizza le composizioni della band di Jacksonville.
Sotto la supervisione di Gary Rossington, unico supersite della formazione originale e antesignano del southern rock, e con il sempre fondamentale supporto di Medlocke in veste di songwriter, undici brani ci raccontano dei Lynyrd Skynyrd di ieri e oggi. Dalla fantastica tirata opener e title-track Last of a Dyin’ Breed, concettualmente una Call Me the Breeze 2012; ai momenti piú lenti e commoventi come One Day at a Time e la fantastica Something to Live For, dove il tocco di classe Skynyrd torna a brillare in tutta la sua semplicitá. Poeti illeterati, veri e propri artisti di strada: sono gli Skynyrd che hanno fatto in modo intere generazioni si innamorassero di questa musica grezza ma distinta, un po’ blues e un po’ country, aromatizzata al bourbon e senza troppi peli sulla lingua. “Somethin’ to live for, somethin’ we can hold on to, somethin’ to believe in”: la risposta é questa stupenda musica a cui ancora una volta abbiamo l’onore e il piacere di essere testimoni.
Sono gli Skynyrd migliori, quelli di Ready to Fly e Nothing Comes Easy, che magari peccano un po’ di superficialita’ con Good Teacher ma che poi si rialzano e chiudono alla grande con Start Livin’ Life Again, uno degli inni alla vita che popolano la discografia di questi signori, con la voglia di stringere i denti e guardare avanti a cui la band ci ha abituato. La vita é dura ma va vissuta a testa alta, una dottrina di cui i Lynyrd Skynyrd non sono solo apostoli e predicatori, ma anche – talvolta loro malgrado – interpreti. Chiosatori del quotidiano, la cui denuncia sociale passa dal serbatoio vuoto del camion (“paychecks goin’ down, prices are goin’ up – takes most of my money just to fill my pick-up truck”) e da una concezione musicale che non cambia con gli anni. Life’s Twisted é un’altra testimonianza di questa attitudine, musicale e territoriale: “like a black snake on a highway, like a flat tire on a Friday, if you let it man, it’s gonna kick your ass”.
Unico momento di sbandamento in un disco che ripaga in pieno tutte le aspettative é Homegrown, dove una produzione moderna e claustrofobica, unita a una voce effetttata assolutamente estranea al mondo Lynyrd Skynyrd, affondano l’episodio pseudo-sperimentale negli abissi di merito del disco. Un’esperienza a parer di chi scrive da dimenticare, che spinge in una direzione Wyldiana/BLS compromettendo troppo le radici del southern piú tradizionalista, sezione essenziale dell’eredita’ musicale dei Lynyrd Skynyrd. Un brano che ha buoni riff e buone idee e avrebbe reso molto di piú se tenuto in linea con gli altri pezzi del disco.
Piú per folklore che altro c’é da segnalare la presenza il line-up di John Lowery, controversa figura del rock americano capace di abbandonare Diamond David Lee Roth per imbarcarsi con Marilyn Manson, e fare la spola tra vecchie canaglie come Meat Loaf o Slash per poi approdare alla corte di Avril Lavigne.
Per chiudere l’analisi di un disco che senza ombra di dubbio alcuno sará una delle uscite da ricordare di questo 2012, non resta dunque che spendere due parole per le numerose bonus che sono inserite a seconda dell’edizione. Da sottolineare quella del magazine britannico Classic Rock, che ha dedicato un’uscita ai Lynyrd Skynyrd includendo con interviste e speciali anche il disco con un paio di tracce live. Il prezzo é £14.99 nelle terre di sua Maestá (sui 19 euro al cambio odierno) mentre probabilmente piú salato é il prezzo per l’export sulla terraferma.
Alessandro ‘Zac’ Zaccarini
Tracklist:
01. Last Of A Dying Breed
02. One Day At A Time
03. Homegrown
04. Ready To Fly
05. Mississippi Blood
06. Good Teacher
07. Something To Live For
08. Life’s Twisted
09. Nothing Comes Easy
10. Honey Hole
11. Start Livin’ Life Again
Bonus
12. Poor Man’s Dream
13. Do It Up Right
Classic Rock Edition
14. Skynyrd Nation (Live)
15. Gimme Three Steps (Live)
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