Recensione: Last Of The Runaways

Di Federico Reale - 18 Marzo 2010 - 0:00
Last Of The Runaways
Band: Giant
Etichetta:
Genere:
Anno: 1989
Nazione:
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98

Molto particolare la storia dei Giant. Particolare perché il combo capitanato dai fratelli David e Dann Huff con tre soli album (quattro, se si conta il recentissimo “Promise Land”) ha rivoluzionato la storia di un genere intero, l’Aor.
“Last Of The Runaways”, il loro esordio datato 1989 è, a parere del sottoscritto, il miglior prodotto della carriera del gruppo americano.

Lo stile della band è a volte vicino a quello degli Europe di John Norum, vale a dire un sound con una buona base di tastiere, ma rimane comunque abbastanza personale, grazie soprattutto alla voce del sopra citato Dann Huff ed alle parti di chitarra solista – opera dello stesso Huff – capaci di conferire accelerazioni e robustezza all’impianto stilistico delle trame compositive.

L’album è aperto dalla bordata Hard Rock di “I’m A Believer”, introdotta da uno sfolgorante guitar solo che si sviluppa in una song molto melodica ma al contempo potente ed energica. Le successive “Innocent Days” e “I Can’t Get Close Enough” sono influenzate dal Glam Metal di quel periodo, con riferimenti a Bon Jovi e Ratt. Ottimo il lavoro vocale di Dann Huff in entrambe le songs.
Uno degli apici assoluti toccati dal disco, è riservato ad una delle ballad più toccanti mai scritte in ambito Aor: “I’ll See You In My Dreams”. Una melodia intensa e commovente fino alla parte solista di chitarra, un sogno d’amore infranto in un ispiratissimo assolo, passionale come pochi.

Si ritorna a standard più marcatamente Hard Rock con “No Way Out” e “Shake Me Up”, un po’ meno ispirate del trio iniziale, ma comunque molto valide, a tratti addirittura da headbanging scatenato. Senza dubbio superiori a molte uscite rock commerciali odierne.
“It Takes Two” è una riuscitissima power ballad, in cui Alan Pasqua fa un ottimo lavoro con le sue tastiere e Dann Huff offre una prova di incredibile bravura non solo al microfono, ma anche alla sei corde. Ancora una volta sono presenti dei magnifici guitar solos, cascate di note che si intrecciano perfettamente l’una con l’altra e che arrivano dritte al cuore dell’ascoltatore. Impossibile non rimanere colpiti da questa fantastica song,
“Stranger To Me” ricorda molto i McAuley Schenker Group di quel periodo: è piacevole da ascoltare, ma ai fini del disco è trascurabile, e si può saltare per assaporare una delle migliori tracce del disco, “Hold Back To The Night”, che per tutta la sua durata fa respirare un’atmosfera gioiosa. Una di quelle canzoni che ti mettono addosso un’allegria contagiosa…
“Love Welcome Home” è la terza e ultima ballad di “Last of The Runaways”, e rispetto alle altre due è qualitativamente inferiore, pur restando una canzone molto emotiva e diretta: essendo molto più commerciale di esse, è quella che più sarebbe stata più adatta a divenire una hit.
L’album è chiuso dal potente Blues Rock di “The Big Pitch”, tra le canzoni più valide scritte dai Giant. Coinvolgente come poche altre, è sicuramente un ottimo finale per un disco del genere.

Come si diceva all’inizio, i Giant con soli tre album, sono stati in grado di marchiare a fuoco la storia dell’Aor, fornendo nuova linfa al settore e ridefinendo verso l’alto i canoni qualitativi già elevati dell’epoca.
Una certezza che non ammette repliche: basterà procurarsi una copia di “Last Of The Runaways”, inserirlo nel lettore cd, e tutto sarà chiaro sin dalla prima nota.

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Tracklist:

01. I’m A Believer
02. Innocent Days
03. I Can’t Get Close Enough
04. I’ll See You In My Dreams
05. No Way Out
06. Shake Me Up
07. It Takes Two
08. Stranger To Me
09. Hold Back To The Night
10. Love Welcome Home
11. The Big Pitch

Line-up:

Dann Huff – Voce / Chitarra
Alan Pasqua – Tastiere / Cori
Mike Brignardello – Basso / Cori
David Huff – Batteria / Cori
 

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