Recensione: Le Dernier Crépuscule

Di Andrea Poletti - 23 Luglio 2016 - 5:52
Le Dernier Crépuscule
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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80

“Noi siamo Altri, noi serviamo forze diverse, ma nel crepuscolo non vi è differenza tra assenza di tenebre e assenza di luce.”

Sergej Luk’janenko

Mattina presto, il sole sbadiglia perché non ha la forza di colmare l’oscuro con la luce; la notte stessa ha paura a scomparire perché non sa quando potrà tornare in vita. Il buio, i demoni, la paura del non esistere e la serenità deturpata dall’assenza del vacuo divenire sotto forma di respiro; Il crepuscolo è una combinazione di assenze e moltiplicazioni, un sentiero a metà strada tra passato e presente del divenire quotidiano, quel momento in cui molti dormono, dove l’uomo medio non esiste sin quando aperti gli occhi inizia ad affrontare l’orrore della metodica esistenza. “Le Dernier Crépuscule” prende forma da quella luce fioca che non deve essere seviziata da rumori del contemporaneo o da altisonanti proclami alla bellezza della vita; non v’è felicità in quei momenti e non ritroviamo nemmeno il piacere del dolore stesso; un semplice arco di tempo neutro ed immortale dove ognuno di noi può percepire il suo vero status emotivo. I Chthe’ilist giocano su questi contrasti di chiaro scuri, dove la speranza non esiste e un sulfureo latrato tende a distruggere i sorrisi oramai affranti. Non è death, non è black, non è grind, non è doom, non è nessuno dei generi più estremi all’interno del metal perché paradossalmente, pur non facendo parte di nessuno di questi, li racchiude come una grande ampolla dove ribollono malcontenti e disperazioni. “Le Dernier Crépuscule” è la soluzione moderna ai Demilich di un tempo, combinati le ancestrali derivazioni dell’atmospheric death metal contemporaneo; non rimpiazzano i nostri cari Finlandesi sia chiaro, ma prendo la causa del portavoce donando mortalità all’ignoto stesso. Addentriamoci miei cari in queste terre Lovecraftiane insite di odio e malumore.

Un primo full-length questo che rende omaggio al death metal vecchia scuola donandogli una veste più claustrofobia, lungo sette brani (tre già presenti nel primo demo del 2012) delineati attraverso storie ed immaginari nati e scolpiti negli abissi. Tecnicamente agghiacciante non porta con se mai quello squilibro che vede la melodia perdere nei confronti di esercizi stilistici fini a sé stessi; anche se le velocità medie delle canzoni sono molto sostenute, l’impatto sull’ascoltatore è ingannevole torturandolo constantemente a livello psicofisico e mentale; la sensazione che tutto può accadere, il doom più marcio è dietro l’angolo infingardo. Death metal sì ma congegnato ed architettato in modalità inedita, personale, senza una gratificazione nei nostri confronti; i synth combinati alle clean vocals come sull’iniziale “Into The Vaults Of Ingurgitating Obscurity” offrono quello slancio per andare oltre i classici cliché contemporanei, andando oltre la prevedibilità del 90% degli album che quotidianamente escono sul mercato. L’epicità di brani quali “Voidspawn” e “Vecoiitn’aphnaat’smaala” ricorda a tratti gli Abyssal combinati con i primi Gorguts dentro un caleidoscopio forgiato dai Demigod di “Slumber of Sullen Eyes”; come possiamo capire dunque un album creato a metà strada tra la vecchia scuola e il contemporaneo avanguardistico. All’apertura di “The Voices From Beneath The Well” troviamo una breve intro che delinea ancora di più quanto sia insito dentro i Chthe’ilist il volere operare su una scala dell’horror da zero a mille, tendono anche a voler sfidare le leggi della gravità terrestre con un lavoro di basso sovrannaturale; questo è uno dei tanti piccoli dettagli che nel complesso ribadiscono quanto i nostri siano distanti dalla massa informe. Ovviamente non tutto è perfetto all’interno di “Le Dernier Crépuscule” poiché certi aspetti devono ancora essere rivisitati e classificati, vedasi la conclusiva, maestosa “Tales Of The Majora Mythos Pt. 1” con i suoi tredici minuti di discontinuo malumore. Quella che potrebbe essere considerata una suite a sè stante, diventa l’appiglio per ritrovare quei “difetti” che non immortalano questo disco come capolavoro; prendete le voci pulite che compaiono a 5:53 e chiedetevi: perché? Che senso hanno all’interno del masterplan generale? Certo che l’assolo che subito dopo viene a crearsi regala emozioni e diventa uno degli apici di “Le Dernier Crépuscule” e li si perdona, ma dettagli così grossolani, figli della gioventù, contrastano così superficialmente con il generale; come un brufolo in fronte la sera del primo appuntamento con la donna della tua vita. Ma come siamo soliti dire l’imperfezione è la perfezione stessa, per chi vuole comprendere.

Ottima la scrittura dei singoli brani, perfetta la produzione che ricalca al meglio ogni passaggio lasciando percepire la morte dietro l’angolo, funesto e doloroso il susseguirsi degli inediti cambi tempo; non stiamo parlando di un album di facile comprensione, anzi molto probabilmente in molti lo vedranno come vacuo divenire applicato all’irreale, altri come “non death metal” (fortunatamente) e altri ancora lo ameranno. Non di facile appiglio ma surrealisticamente ammaliante.

Il crepuscolo è l’inizio degli incubi quotidiani, lo stratagemma che ha il fato per ricordarti che sei mortale e devi soffrire ogni singolo giorno; esiste una sola verità applicabile a stretto contatto con il mondo dei Chthe’ilist: manipolare e contestualizzare la parola orrore.

“Se lo scopo prossimo e immediato della nostra vita non è il dolore, allora la nostra esistenza è la cosa più contraria allo scopo del mondo.”

Arthur Schopenhauer

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