Recensione: Le Noir Village
Black metal, dark metal, doom, arpeggi intimisti, cinema del terrore, letteratura gotica, rumori d’ambiente, atmosfere, situazioni, narrazione teatrale, storiografia medievale, musica classica, screaming, clean vocals, spoken words, theremin, organo chiesastico, viola, piano, tromba, idioma francese, sperimentazione; può coesistere tutto ciò sotto un unico monicker? La risposta ce l’avete sotto il naso, si tratta dei transalpini Créatures, all’esordio su Antiq Records (già il nome della label è tutto un programma), “creatura“ – è proprio il caso di dirlo – di Sparda, già bassista degli Hanternoz (un full-length e due EP all’attivo).
Il Villaggio Nero è un vero e proprio concept lirico, esplicato a partire dalla copertina del disco. Un piccolo insediamento nella campagna francese nel XII° secolo viene attaccato e messo sotto assedio da misteriose creature mostruose. I vari personaggi in commedia (anzi in tragedia) sono interpretati da voci diverse e spesso i capitoli della storia sono introdotti (o congedati) mediante cornici contestuali e voce narrante. Come se non bastasse, l’intera opera è corredata da photosession esoterico-cimiteriali e da un booklet di 16 pagine con disegni “medievali” appositamente realizzati.
Sparda insomma non ha liquidato la pubblicazione del proprio esordio discografico facendo il compitino, il minimo sindacale, bensì architettando un progetto di ampio respiro, ponderato, elucubrato, dal sapore ricercato e sperimentale. I Créatures però vanno molto più forte sull’aspetto concettuale che su quello prettamente musicale. L’idea è intrigante, ricca, decisamente ambiziosa. Il disco tenta ogni mezzo per stupire l’ascoltatore, calarlo dentro un meta-mondo immaginario, tutto avvolto da coltri tenebrose, pustole pestilenziali e deformità mostruose. “Le Noir Village” è una congerie di suggestioni che mettono assieme Dante, Bosch e mille derivazioni leggendarie medievali. “Martyre D’Un Tanneur”, “Il Ètait Un Monstre Assoiffé De Cœur“ e “Sous Le Visage Avenant De La Mort“ sono forse gli episodi più interessanti in tal senso.
Tuttavia l’opera sconta anche aspetti negativi, la durata dei pezzi innanzitutto, mediamente troppo estesi, tanto da stemperarne l’intensità; l’esecuzione strumentale è abbastanza primitiva (per quanto i momenti acustici e più “emotivi” facciano presa sull’ascoltatore, rimandando sorprendentemente ai Bathory vichinghi di metà carriera), lanciando il black metal di Sparda verso disperate ordalie apocalittiche. Le idee in background sono migliori della resa finale; gli spunti ci sono e di tutto interesse, l’eccessiva auto indulgenza della band, che non taglia e cuce a dovere il proprio materiale, azzoppa però l’arrivo al fotofinish. Rimane in ogni caso un esperimento atipico e bizzarro, traboccante eccentricità, che merita l’ascolto; il cantato francese perlomeno aggiunge un tocco di specificità al sound estremo dei Nostri e nel complesso si deve riconoscere al buon Sparda di essersi spremuto le meningi alla ricerca di qualcosa di nuovo e fuori dal comune. Trattandosi praticamente di una concept band, c’è la legittima curiosità di scoprire come potrà prender forma un ipotetico secondo album, che caratteristiche avrà, che fisionomia, quali tratti distintivi.
Marco Tripodi