Recensione: Led Zeppelin III
E tre. Questo è il numero dei capolavori che, dal momento della loro nascita al 1970, i Led Zeppelin avevano messo sul mercato. Led Zeppelin III è in ordine cronologico il terzo di tali capolavori, e tra l’altro terzo disco in due soli anni di attività della band di Page e compagni, risultato davvero notevole.
Sinceramente devo confessare che questo Led Zeppelin III, o Untitled III
(chiamatelo a vostro piacere), è l’album che mi piace di meno delle prime quattro pietre miliari della band, pur mantenendo uno standard ed un livello qualitativo altissimo, sia in ambito esecutivo che sorpattutto in quello compositivo. Le dieci song che compongono il disco sono davvero perle musicali, sia se prese singolarmente, sia soprattutto se ascoltate tutte d’un fiato dall’inizio alla fine. Il sound che ci si presenta non è pesante, sicuramente meno pirotecnico e probabilmente meno Hard Rock in senso stretto rispetto a quello che era il sonoro dei due dischi predecessori, ma è davvero allegro, dinamico (anche per i nostri tempi) e terribilmente coinvolgente. Ovviamente dal mero punto di vista struementale la chitarra è dominante, nelle sue trame, negli arpeggi, negli assoli, cose che non
puoi che aspettarti quando ci sta un certo Jimmy Page a suonarla. I suoi compagni di gruppo però non sono certo da meno, in quanto i bravissimi John Bonham e John Paul Jones dettano legge dietro le pelli della batteria e pizzicando le corde del basso, mentre per quanto riguarda la voce di Robert Plant, non mi sembra necessario mettere aggettivi, in quanto
tutti sanno come è (ovviamente tutto il discorso è volto al positivo). Led Zeppelin III si apre con una delle canzoni più famose di sempre del gruppo, ovvero con la celeberrima e straordinaria “Immigrant song”, corta ma dotata di una intro che ha semplicemente fatto la storia, con quel suo riconoscibilissimo e unico “Ahhhahahhhhhhhhhhhhhhhh ah!”. Tanto per dirne una, tale intro è stata usata addirittura come sigla per una trasmissione
televisiva (di cui, chiedo venia, mi sfugge il nome), il che lascia il tempo che trova, ma qualcosa vorrà pur dire. I tempi del pezzo sono scanditi benissimo dagli strumenti, specie dal basso e dal grandioso riff di chitarra, sopra i quali ricama benissimo Robert Plant, con la sua voce pulita e particolarissima. Dopo questa prima sferzata di energia si arriva a “Friends”, sicuramente canzone meno famosa e del tutto diversa dalla precedente. L’inizio è affidato a una ottima trama chitarristica (che si ripercuoterà per tutta la durata della track), per poi proseguire con una carica di pathos davvero non indifferente per tutti i suoi quasi 4 minuti. Particolarissimo e sferzante anche l’inizio di “Celebration Day”, dove la chitarra si sente decisamente bene, anche se sul fondo (e paradossalmente è il tocco che fa fare il salto di qualità alla song), mentre sono basso e batteria che sono in primo piano, a intrecciarsi in un pezzo veloce, senza tanti fronzoli e senza pecche. Bellissimo ma molto breve l’assolo, unico punto dove Page svetta sui suoi compagni di gruppo anche in termini di sonorità. Melodrammatico l’inizio di “Since I’ve Been loving you”, ballata triste e lentissima, che fa della non indifferente carica emozionale trasmessa il suo cavallo di battaglia. Bellissima la melodia di fondo, sulla quale si sovrappone una buona e pacata batteria e una melanconica chitarra.
Personalmente al primo ascolto ho pensato che fosse canzone meno sentita di una “Thank You” per esempio, ma a più riprese ci si rende conto che i due pezzi sono semplicemente diversi e imparagonabili fra di loro. Si Torna al brio e alla tecnica più rock con “Out on the tiles”, dotata di gran basso, batteria non suonata rapidamente, ma che trasmette una velocità di fondo pazzesca per quello che è il ritmo globale del pezzo. Buona song tirando le somme, ma un gradino sotto a quella che assieme a “Immigrant Song” e “Tangerine” è la canzone che mi piace di più in questo CD, ovvero “Gallows Pole”. L’inizio è affidato all’ennesimo pizzicare delle corde di chitarra, la voce è sostenuta ma tranquilla, per poi aumentare di carica mentre la velocità della song stessa aumenta in maniera lenta ma irrefrenabile, fino a chiudere non in maniera vorticosa, ma comunque frizzante. Ho detto che Gallows Pole è la mia song preferita del disco insieme a “Immigrant song” e a “Tangerine”.
Ecco “Tangerine” credo sia la mia preferita in assoluto. Le sequenze di note che la chitarra pizzicata da Page diffonde nell’aria sono davvero celestiali, così come è celestiale la voce e tutti gli strumenti, che si fondono in un tutt’uno veramente magico. Si sente davvero con quanto impegno e attaccamento viene cantata la canzone, e se chiudo gli occhi riesco a percepire i 4 Zeppelin che la suonano nella loro sala prove, con umiltà, impegno, costanza. Una sensazione semplicemente unica, e chissenefrega se la canzone è cortissima, basta che sia stupenda, e lo è.
Così come splendida è anche “That’s the Way”, che si mantiene più o meno sui canoni di Tangerine. Anch’essa basata sulla chitarra, dalla lenta e dolce melodia, armoniosa e romantica. Bellissimi gli effetti di fondo, e la purezza ed espressività che il vocalist riesce a esprimere mentre canta. Decisamente country e festosa è la penultima traccia del disco, ovvero “Bron-y-aur Stomp”, altro pezzo di pura chitarra che forse non è all’altezza dei due precedenti ma si difende davvero molto bene, specie per l’allegria che diffonde. Siamo alla fine, e la conclusione arriva puntuale con l’ennesima ottima song, ovvero “Hats off to (Roy) Harper”, forse la canzone più particolare di tutta la produzione, con la guitar usata in maniera stranissima ma davvero unica (e con grande impatto). La voce segue i particolarissimi suoni emessi dallo strumento principale per una specie di cavalcata finale, francamente non irresistibile ma sicuramente curiosa, il che conferisce davvero grande fascino.
E’ finito un altro disco epocale. Come detto, purtroppo questo è il disco dei primi 4 dei Led Zeppelin che ascolto con meno piacere, peccato, perchè sicuramente da un punto di vista oggettivo è l’ennesima conferma di quanto questo gruppo sia stato geniale, giustificando in pieno le miriadi di gruppi che hanno preso Plant e soci come un modello da seguire.
Riccardo “Abbadon” Mezzera
tracklist :
1) Immigrant song
2) Friends
3) Celebration day
4) Since i’ve been loving you
5) Out on the tiles
6) Gallows Pole
7) Tangerine
8) That’s the way
9) Bron-y-aur Stomp
10) Hats off to (Roy) Harper