Recensione: Legacy Of Life

Di Federico Reale - 23 Marzo 2013 - 0:01
Legacy Of Life
Band: Impera
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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78

Gli Impera sono un supergruppo nato nel 2012 per la volontà del batterista J.K. Impera – collaboratore tra gli altri di Brian Robertson e Graham Bonnet – supportato dal vocalist svedese Matti Alfonzetti, autore di lavori splendidi  – da solista e con i Jagged Edge – e dall’onnipresente Tommy Denander, oltre che dal bassista Mats Vassfjord, attivo nei Grand Design e nelle band di Vinnie Vincent e John Corabi.
“Legacy of Life” è il primo risultato di questa nuova formazione. Se la presenza di Alfonzetti e Denander vi farà pensare ad un disco orientato verso le sonorità AOR tipiche dei Toto vi sbaglierete di grosso: naturalmente la melodia non manca, dato il background dei vari musicisti coinvolti, ma “Legacy of Life” è un disco di roccioso Hard Rock caratterizzato da chitarre taglienti e da un sound molto compatto.

Si parte con l’opener “Turn My Heart to Stone”, con la quale Impera e compagni mettono subito in chiaro che cosa rappresenta “Legacy of Life”. Un disco trascinante, esaltante, non un capolavoro ma semplicemente un disco che intende far divertire l’ascoltatore per tutta la sua durata: vi assicuriamo che questo obiettivo è stato centrato in pieno.
Le successive “Kiss of Death” e “Shoot Me Down” sono due pezzi dai ritmi più sostenuti in qualche modo reminescenti dei Motley Crue del periodo d’oro, mentre l’ottima “Break the Law” è un momento arricchito da sfumature più Class provenienti invece dai Dokken di “Under Lock and Key”. Ed è proprio a Lynch che Denander sembra ispirarsi in “Tell Me”, impreziosendo con un assolo diretto e graffiante un pezzo già reso pregevole dalla prestazione di un Alfonzetti sontuoso come mai prima d’ora.

“Legacy of Life” continua a scorrere su buoni livelli, trascinato dai due enormi talenti alla chitarra e dietro al microfono e da piacevoli citazioni dell’Hard Rock melodico dei dorati ’80s: mentre “More Than Meets the Eye” riporta alla mente il Michael Schenker più americaneggiante, “Is This Love” è un pezzo duro come l’acciaio nella tradizione dello Scandi-Hard Rock più puro, abbellito dagli interventi pirotecnici di Denander, protagonista anche nella splendida “Show Me the Money”, a parere di chi scrive la traccia migliore del lotto oltre che uno dei pochi episodi a mostrare una certa inclinazione verso melodie più AOR, che vengono comunque “coperte” da un sound massiccio ed affilato come un rasoio.
A chiudere troviamo “Deadend Street”, un’altra canzone più melodica ed ariosa.

Ricollegandoci all’inizio. Cos’è quindi che rende “Legacy of Life” un disco semplicemente buono e non ottimo? Sicuramente non sono le canzoni, anzi come già detto, tutte si lasciano ascoltare con grande piacere e divertimento. Ma se c’è da trovare un difetto in questo album, non si può sorvolare sul fatto che esso si riveli abbastanza ripetitivo. Se non si tiene sempre sotto controllo il lettore CD c’è il rischio di non poter distinguere una canzone dall’altra: non proprio un segnale positivo, specie considerando che il disco dura 40 minuti scarsi. Forse l’inserimento di una ballad avrebbe aiutato, da questo punto di vista.
Allo stesso modo però non si può evitare di rimarcare ancora una volta l’elevata qualità delle composizioni, che riescono a coniugare alla perfezione aggressività e gusto melodico.
Nonostante il difetto descritto poco sopra, “Legacy of Life” è consigliato agli amanti dell’Hard Rock di fine anni ’80, sperando che un eventuale secondo capitolo possa rivelarsi ancora migliore.

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