Recensione: Legend
Sei full-length in dodici anni non è roba da poco. Si tratta, nello specifico, della continuità produttiva dei francesi Exocrine che, con l’ultimo nato “Legend”, dimostrano di essere una band consistente, adulta e professionalmente esemplare; rilevato che quelle sopra sono tutte di opere dall’alto livello tecnico/artistico.
Exocrine fa rima con technical death metal. Una fattispecie di sotto genere che, nel Paese d’oltralpe, ha una tradizione radicata, consolidata, in perenne ebollizione. Uno di quei misteri per cui certe fogge musicali arano e seminano una terra invece che un’altra.
Mastermind del combo è il virtuoso della chitarra Sylvain Octor-Perez. Detto così, l’idea che si forma nella mente è quella di un’entità fortemente impegnata a dar vista di sé per meriti… ingegneristici. Nello sviluppo, cioè, di una progressione che tenga conto quasi esclusivamente della bravura dei singoli interpreti, tralasciando quello inerente l’eleganza del disco nel suo complesso.
Ma non è così. “Legend” è un LP che contiene dentro i suoi solchi un vero e proprio caleidoscopio di colori, immagini, suoni. Rispetto alla produzione precedente c’è un po’ di sperimentazione in meno ma nulla è precluso: né la melodia, né l’elettronica, né l’ambient, né le contaminazioni aliene. Nemmeno, ovviamente, una ferocia scardinarice di tutto rispetto, un’aggressività che fa fede allla circostanza di appartenere alla grande famiglia del death metal.
A tal proposito, Jordy Besse, il cantante, percorre le linee vocali di competenza con taglio brutale, veicolando agre hars vocals, asfissianti inhale, rabbioso growling e possente tono stentoreo per una prestazione assolutamente irreprensibile. Una sorpresa, poiché il techincal tende a prediligere vocalist molto meno veementi per non sporcare la perfezione del tutto. Qui no, eppure nulla viene impiastricciato. Nulla, della concezione di base del ridetto sotto genere, subisce la cattiveria della prova di Besse. Anzi, al contrario, essa rappresenta uno dei punti focali della prestazione del quintetto di Bordeaux.
Octor-Perez, assieme al suo compagno d’armi Nicolas La Rosa, crea un riffing poderoso, certamente complicato nella sua forma strutturale ma assai concreto, immediato, efficace. Niente voli pindarici e strane voglie di mostrare quanto si è bravi quanto, piuttosto, la ricerca della massima compattezza per regalare all’orecchio dei fan un impatto a volte tremendo, discendente dall’applicazione di una forza semplicemente erculea (‘The Altar of War’). Un aspetto, questo, che si riflette anche negli assoli. Niente cascate astruse di note fini a se stesse ma impressionanti, questo sì, ceselli piacevoli all’orecchio. Ricamati per far risplendere “Legend” alla luce del sole.
Letteralmente spaventosa, e qui è l’antro in cui la tecnica la fa da padrona, la sezione di spinta capitanata da Théo Gendron, batterista dalle mille trovare, dalle mille soluzioni. Blast-beats come se piovesse il Diluvio Universale, repentini cambio di tempi, fantasia alle stelle per ciò che concerne la successione di pattern rutilanti, misteriosamente semplici e lineari all’ascolto ancorché ostici all’inverosimile.
Tornando per un attimo all’apertura mentale di Besse e compagni, non si può non menzionare l’utilizzo di campionamenti e sintetizzatori, assunti alla bisogna per donare al sound un rilevante spessore musicale (‘Warlock’), instillando nel sound stesso una cospicua componente atmosferica (‘By the Light of the Pyre’).
E, così, quasi naturalmente, dal magma mentale che ribolle nel cervello dei Nostri fuoriescono le canzoni. Mai banali, mai ripetutive anzi dotate ciascuna di una spiccata singolarità. Benché la struttura portante non sia delle più semplici, esse scorrono con inaspettato piacere – rilevando che per il technical non esistono, tericamente, elaborazioni d’impatto – , con scioltezza e freschezza, soddisfacendo in pieno, a parere i chi scrive, la voglia di ascoltare composizioni fruibili con facilità seppure per nulla… facili. Il che è pienamente dimostrato, giusto per espletare un esempio, da ‘Dragon’, retta da una splendida armonia che cammina con l’incedere del brano, rendendolo davvero accattivante malgrado l’onnipresente porzione di superperizia strumentale da deglutire.
Alla fine dei conti, la sensazione che si prova è che gli Exocrine abbiano voluto realizzare un’opera sì lambiccata e al massimo delle possibilità tecniche dell’Uomo, però fruibile da un pubbico che sia oltre quello appassionato del technical death metal. Incredibile ma vero, “Legend” può essere un album per tutti, o quasi.
Daniele “dani66” D’Adamo