Recensione: Legion
1992: mentre in terra scandinava la seconda ondata di Black Metal spazzava via qualsiasi residuo di perbenismo cristiano, negli Stati Uniti il verbo demoniaco era sostenuto e portato avanti con brutale tracotanza dai Deicide (ex Amon), uno dei pochi gruppi ad essere stati sempre e comunque in evidenza, sia per la particolarità del loro impatto sonoro sia per il carisma del leader Glen Benton, un personaggio da sempre discusso ma evidentemente ed inoppugnabilmente coerente con le sue idee oltranziste. Sono queste considerazioni necessarie e non retoriche, in quanto sarebbe impossibile entrare in sintonia con questo combo senza cognizione di causa su tutto ciò che ruota intorno a loro e soprattutto a Benton, intelligente e beffardo, umorista e filosofo, a prescindere da qualsiasi interpretazione.
Legion arriva dopo il successo del primo omonimo album, di cui ne è un’estremizzazione concettuale: la tecnica è migliorata, nonostante sia finalizzata più all’esplosività che alla ricercatezza di combinazioni particolari o esclusive, ed il riffing, pur non essendo innovativo, risulta efficace e perfetto nel trasmettere la violenza che trapela dai testi ipersatanici di questo platter. L’orgia satanica inizia con un’immagine bucolica quasi sconcertante, ma l’umorismo nero latente dei primi secondi si tramuta presto nella vera anima diabolica del combo: “Satan Spawn, The Caco-Daemon“, un inno che trasuda malignità e che difficilmente potrà essere dimenticato. Si prosegue con “Dead But Dreaming” e “Repent To Die“, tutte canzoni perfettamente calzanti e con un tiro esaltante, grazie ad un buon lavoro chitarristico da parte dei fratelli Hoffman, sostenuto dal sempre presente pompatissimo basso e dal bombardamento di Asheim, che non sarà il batterista più versatile del panorama Death, ma picchia duro e contribuisce non poco al massacro sonoro: d’altronde è questo ciò che deve fare e non gli si può certo chiedere di meglio vista la velocità che riesce a raggiungere nei pattern di doppia cassa.
L’assalto deicida culmina con la quarta traccia, “Trifixion” (l’immagine della cover), song molto varia e oserei dire anomala nel contesto, che presenta anche un passo “recitato” alternato al classico vocione da grizzly e all’acido scream del Benton d’annata: a proposito del cantato, il buon Glen ci tiene a sottolineare quanto segue: “this album was recorded with no harmonizer on my vocals, so for all my vocal critics, SUFFER”… un’altra conferma dell’indole del nostro amato singer. L’album ovviamente non scade e con le successive quattro tracce si conferma quanto ascoltato nella prima parte: quel marchio infernale caratterizzato da atmosfere cupe e oppressive quasi inquietanti, merito sì dei quattro pazzi scatenati agli strumenti che creano un muro possente ed inespugnabile, ma anche di uno Scott Burns maestro indiscusso del mixer, capace di esaltare al meglio la compattezza propostaci.
Si susseguono quindi “Behead The Prophet“, “Holy Deception” e “In Hell I Burn“, sino alla tiratissima e semplicemente perfetta “Revocate The Agitator“, un piccolo capolavoro che porta a conclusione questo Legion, forse il miglior disco dei Deicide (anche se è difficile scegliere tra i primi tre album), 29 minuti di sana follia che hanno portato questi bravi ragazzi americani ad essere tra i rappresentanti più illustri del panorama Death, nonostante tutto e nonostante tutti.