Recensione: Les Voyages De L’âme
Quando nel lontano 2001 uscì il demo “Tristesse Hivernale” probabilmente in pochi avrebbero scommesso sul successo del progetto Alcest. Il gruppo, o per meglio dire Neige, però, proseguì fiero il suo cammino e fu così che, nel 2005, l’EP “Le secret” vide la luce; tale gioiello conferì alla creatura dell’artista francese lo status di band di culto.
Passarono due anni e nel 2007 uscì il Capolavoro, ossia quel “Souvenirs d’un autre monde”, che tanta fortuna portò al musicista di Bagnols-sur-Cèze. L’originalità della proposta, unitamente ad una sensibilità artistica fuori discussione, permisero a Neige di guadagnarsi un contratto niente meno che con la Prophecy. A ciò seguirono anche tour con nomi altisonanti del panorama estremo, uno su tutti gli Agalloch. Nel 2010, infine, il buon “Écailles de Lune” non fece altro che consolidare la schiera di fan.
Sembrerebbe quasi che la macchina chiamata Alcest non possa subire alcuna battuta d’arresto, e invece…
2012: Il 6 gennaio esce ufficialmente “Les voyages de l’âme”, terzo -e fin’ora ultimo- capitolo della discografia dell’artista d’oltralpe. Chiariamoci subito, questo album, per quanto sia formalmente ben realizzato, perfettamente prodotto e affascinante, dimostra quanto Neige si sia fossilizzato su una proposta che ormai non stupisce più. Senza nulla togliere all’innegabile piacevolezza d’ascolto infatti, “Les voyages de l’âme” soffre di un songwriting che, il più delle volte, non riesce a brillare di luce propria.
Certi passaggi sanno di già sentito e, più in generale, si nota una certa mancanza nel voler ricercare soluzioni stilistiche che possano lasciare di stucco l’ascoltatore. D’altra parte, a risollevare le sorti del disco ci pensano melodie suadenti e magiche che, volenti o nolenti, catturano sin dal primo ascolto.
Suddiviso in otto brani di durata medio-lunga (si va dai 2 minuti di “Havens” agli 8 e 50 della seconda “Là où naissent les couleurs nouvelles”), il lavoro si posiziona idealmente a metà strada tra i due precedenti cd, fondendo le caratteristiche di entrambi. Ciò significa che da un lato possiamo ritrovare sia le sonorità sognanti e delicate del bellissimo “Souvenirs d’un autre monde”, e dall’altro quelle più malinconiche e romantiche, ma al contempo “nervose” di “Écailles de lune”.
Concentrandoci sulle canzoni, due caratteristiche catturano subito l’attenzione: la prima è la maggiore complessità delle ritmiche -e, in questo senso, la presenza di Winterhalter si rivela fondamentale-, la seconda è l’innegabile bontà dei fraseggi di chitarra, sempre evocativi e realizzati con gusto e classe. Le atmosfere eteree rievocano paesaggi onirici, a tratti fiabeschi.
La tracklist è piuttosto omogenea qualitativamente parlando e non si notano né picchi particolarmente elevati né, allo stesso modo, cadute di stile rovinose. Tra i momenti migliori del full-length è doveroso nominare la già citata mini-suite “Là où naissent les couleurs nouvelles” dotata di quel quid in più che le permette di svettare sulle altre tracce. I brividi e emozioni profonde che le atmosfere malinconiche provocano sono difficilmente traducibili in parole.
Notevoli anche “Faiseurs de mondes”, con la gradevole contrapposizione tra lo screaming e le musiche “solari” e il crescendo finale da pelle d’oca, la strumentale “Havens” e l’ultima “Summer’s Glory” assai più leggera e spensierata. In quest’ultima il mood si fa più rilassato, i ritmi sono più blandi e, non ultima, la voce del francese diventa più melodiosa e dolce.
E i restanti episodi? Ecco, qui iniziano i “problemi”. Pur non attestandosi su livelli qualitativi mediocri, si nota una certa staticità e stanchezza compositiva e, per la prima volta, possiamo dire che qualcosa non va come dovrebbe. “Autre Temps”, ad esempio, sebbene sia piacevole, risulta anche molto di modo, standard e prevedibile nel suo incedere. Stesso dicasi per “Nous sommes l’emeraude”, davvero sottotono, specie se paragonata agli standard cui il progetto Alcest ci ha da sempre abituati.
Allo stesso modo non convince affatto “Beings of Light” che con le sue accelerazioni, suona ovvia e stereotipata come non mai.
Spostando la nostra attenzione su versanti che esulano dalla musica in quanto tale, non si può non lodare lo sforzo da parte della Prophecy per conferire a questo cd una produzione degna di nota: i suoni sono compatti e potenti, chiari come non mai. Le chitarre sono pulitissime, stesso dicasi per il il basso, sempre pulsante e facilmente percepibile. Batteria e voce, in fine, non sono state assolutamente penalizzate dal missaggio, risaltando a dovere.
A fare da cornice a tutto ciò ci pensa poi la consueta splendida copertina. Questa volta il soggetto rappresentato è un bellissimo pavone sotto un arco, che si affaccia su un campo. Le tonalità chiaroscurali del verde creano un’atmosfera che si sposa alla perfezione con il tipo di proposta musicale.
Cosa dire dunque? Siamo soddisfatti? Sì, ma per la prima volta lo siamo solo in parte. Dover assumere un comportamento duro nei confronti di un artista che da sempre ho amato è, per me, quanto di più difficile, ma questa volta è necessario. Neige, nonostante le sue abilità compositive e la sua classe, questa volta sforna un’opera leggermente sottotono, che segna un piccolo passo indietro.
Con la vivissima e più sincera speranza che il prossimo lavoro torni ad attestarsi sui livelli qualitativi che più competono ad un artista del genere, per ora non ci rimane che promuoverlo a pieni voti, ma con un po’ di amarezza per averci disilluso.
Emanuele Calderone
Tracklist:
01- Autre Temps
02- Là où naissent les couleurs nouvelles
03- Les voyages de l’âme
04- Nous sommes l’emeraude
05- Beings of Light
06- Faiseurs de mondes
07- Havens
08- Summer’s Glory
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