Recensione: Let there be Rock
Uscito nel 1977, un anno dopo l’ottimo “Dirty Deeds done Dirt Cheap”, “Let there be Rock” è il primo della triade di dischi, “Highway to Hell” e “Back in Black” gli altri due, che toglieranno gli Ac/Dc dallo status di semplice band di successo e fama consolidata, per portarli una volta per tutte nell’olimpo del rock mondiale, ultimo salto di qualità di per una band che in già in oltre un lustro abbondante di carriera aveva rotto le regole con una musica molto caratteristica, elettrizzante, ruvida per l’epoca, ma nello stesso tempo coinvolgente e anche molto tecnica, dato che, vista la presenza di un chitarrista come Angus Young nella formazione, non poteva essere che di caratura rilevante. L’album si presenta nelle vetrine dei negozi Australiani nel marzo del 1977, per poi uscire solo qualche mese più tardi nelle bancarelle Americane ed Europee, ed avere, grazie anche alla popolarità della band che ormai faceva comprare i suoi prodotti a scatola chiusa, un immediato successo di vendite, e poco dopo anche di gradimento.
Probabilmente Let there be rock è, al 1977, il miglior disco del gruppo dei fratelli Young, un vero e proprio concentrato di musica graffiante, di riff eccellenti, di grande ritmo, e non ultimo, di un carisma del tutto particolare, che invita chi lo ascolta, in modo anche involontario, di andare a ballare i pezzi in mezzo alle strade, trascinato dalla incalzante chitarra di Angus Young, che fa come sempre un lavoro degno della massima lode e dà la carica i suoi compagni. Anche gli altri strumenti, a parte forse il basso che si sente non moltissimo a dire la verità, danno il loro solido contributo (menzione d’onore direi per la batteria di un buonissimo Phil Rudd). Pulita e complessivamente buona la voce di Bon Scott, che si sta, a mio avviso, inerpicando sempre di più verso la totale maturità come cantante (per controllo della voce, intonazione e tutto il resto), che raggiungerà col seguente “Highway to Hell”. Le canzoni, che durano nel complesso circa 40 minuti, sono tutte ovviamente sulla falsariga strumentale che da sempre caratterizza gli Ac/Dc, quindi chitarra dominante a dir poco e puro stile hard rock, ma sono comunque abbastanza differenti e riconoscibili nella loro composizione, dato che in alcuni brani degli Ac/Dc si fa abbastanza fatica a riscontrare.
Subito grande inizio con la sfavillante “Go Down” canzone potente, molto caratteristici, che apre davvero col piede più che giusto un album che entra di diritto nell’elite massima della band dei fratelli Young. L’inizio è eseguito davvero in pompa magna, poi la canzone si sviluppa nel solito gioco di riffs delle chitarre, che accompagnano l’ascoltatore al sonoro ed emozionante refrain. Trascinante l’assolo, e, in sostanza, l’unico lato che abbassa un attimo il voto della canzone è Bon che si esprime sì molto bene, ma a pelle non al massimo delle sue possibilità (ma fossero tutte così le prestazioni canore dei giorni nostri, vivremmo ancora un’epoca d’oro). A Go Down segue un’altra canzone molto conosciuta dal popolo degli Ac/Dc, ovvero “Dog eat dog”, mid tempo dalla ottima batteria e dalle buone chitarre, ma che onestamente è un gradino sotto la precedente canzone, e forse pure alle successive. Ancora buono ma non eccezionale Bon, mentre Young ci regala un assolo davvero fantastico, forse il migliore di tutto il CD. Terzo posto nella scaletta di “Let there be Rock” è proprio la “Let there be Rock”, pezzo spettacolare, velocissimo all’inizio, graffiante e davvero “spezza gambe” nella sua sfrenata ritmica. Non c’e uso di chitarra nelle strofe a dire il vero, ma tanta batteria e un discreto basso di sottofondo. Angus e Malcolm si fanno sentire soprattutto nelle rifiniture e negli ottimi assoli che compongono questa traccia davvero meritevole di essere la title track di un disco come quello che stiamo analizzando. Esplosivo è pure l’inizio di “Bad Boy Boogie”, che si sviluppa poi nella medesima direzione della sua intro, ovvero in grande stile, con riff puliti ma energici, un cantato stavolta ottimo, e un assolo forse un minimo ripetitivo nella parte iniziale, ma che esplode letteralmente nella parte centrale e conclusiva, per la gioia di tutti coloro a cui piace scapocciare in lungo e in largo. La song che apre la seconda metà del disco è la lunga (oltre 6 minuti) e piacevole “Problem Child”, che parte in modo lento e melodico, mantenendosi su questi standard per circa un minuto, per poi divenire improvvisamente un pezzo quadrato, che varia dal lento all’andante , anche se sempre all’altezza della situazione. Forse la song dove Bon canta meglio in tutto il disco. Let there be rock continua con la terzultima, ma non sicuramente per bellezza, “Overdose”, pezzo lentissimo, molto country e blueseggiante, sicuramente una variante al classico stile della band australiana, ma che non per questo manca di fascino e carisma, anzi nella sua particolarità e uno dei pezzi le cui melodie si seguono con più piacere. Con “Hell ain’t a bad place to be ” si ritorna invece al classico rock preciso e tagliente, ma anche molto ritmato e facile da seguire. Il tema musicale della song è il medesimo per tutta la sua durata, ma non risulta noioso, anche se forse inferiore ad alcuni pezzi antecedenti sì. Il Cd si chiude in bello stile con la “spezzettata” ma affascinante “Whole Lotta Rosie”, traccia dove la musica si alterna al parlato (almeno all’inizio), ma che risulta in seguito frenetica e travolgente, una vera e propria carica che chiude in maniera eccellente un album che già con “Go Down” fa capire di che pasta è fatto, ovvero di prima qualità, primissima.
Riccardo “Abbadon” Mezzera
TrackList :
- Go Down
- Dog eat dog
- Let there be rock
- Bad boy boogie
- Problem Child
- Overdose
- Hell ain’t a bad place to be
- Whole lotta Rosie