Recensione: Letters From The Labyrinth
Siamo vicini a Natale. C’è chi fa l’albero, chi il presepe, chi addobba di odiose luci colorate i balconi… e c’è chi fa uscire nuova musica. Infatti, siamo nel periodo giusto per un nuovo album della Trans-Siberian Orchestra. “Letters From The Labyrinth” cade preciso come l’uvetta sul panettone, e ben si inserisce nel concept natalizio della band.
Prima un po’ di storia. C’erano una volta, tanto tempo fa, i Savatage, band guidata dal “Mountain King” Jon Oliva, capaci di griffare il loro metal con toni progressive e sinfonici, sfoderando album uno più bello dell’altro. Purtroppo, i Savatage non ebbero mai fortuna, mai ricevettero i giusti riconoscimenti, restando sempre confinati nella zona di culto. Ecco, la T.S.O. rappresenta la vendetta di Oliva verso il music business. Si tratta infatti degli stessi Savatage post “Dead Winter Dead” sotto un altro monicker, insieme al loro storico produttore Paul O’Neill, più una corposa aggiunta di ospiti e sezioni orchestrali. Smussati gli angoli più duri, mantenute intatte le melodie, costruito un concept basato prevalentemente di storie natalizie e inserite molte rivisitazioni in chiave rock di celebri suite classiche, l’idea (vincente) si concretizzò con il primo “Christmas Eve And Other Story” del 1996. Ed è un successo milionario, subliminato poi dal capolavoro “Beethoven Last Night”.
Magari, nell’Italia sonnolenta e troppo spesso provincia del mondo, le gesta della T.S.O. arrivano come un lontano eco, ma basti sapere che negli States la band è “costretta” a dividersi in due, versione East e West, per far fronte alle continue richieste di tour. Sono acclamati anche in Inghilterra, e questa estate hanno trionfato al Wacken con uno spettacolare live.
Chiuso il pippotto, veniamo a “Letters From The Labyrinth”, giunto a sei anni di distanza dal precedente “Night Castle”. L’inizio è, come da copione, strumentale e pomposo con “Time & Distance” seguita a ruota dall’imponente “Madness Of Men“, rilettura di Beethoven, mentre il primo pezzo cantato, “Prometheus“, ci presenta un Jeff Scott Soto sempre in gran forma. Seguono altri tre strumentali, tra le quali spicca la rilettura di un’altra piece classica, Prince Igor di Borodin. Sono questi i passaggi dove apprezziamo il lavoro straordinario degli strumentisti (d’altronde parliamo di gente come Al Pitrelli, Chris Caffery, Joel Hoekstra e Vitalij Kuprij tra gli altri, oltre ovviamente a Oliva e O’Neill).
Nelle tracce cantate invece, spicca la giovane e talentuosa Kayla Reeves, potente e espressiva sia in “The Night Conceives” che in “Not The Same”, mentre l’unica nota stonata è rappresentata da “Not Dead Yet”. Affidata ad un cavallo di razza come Russel Allen, appare una occasione sprecata con le sue strofe rap-rock che non permettono di sfruttare a dovere le capacità del singer in forza ai Symphony X.
L’hightlight lo troviamo invece nella conclusiva “Forget About The Blame” (Moon Version), dove troviamo la preziosa ugola di Lzzy Hale, beniamina tra le nuove leve del rock che va in classifica, capace di vette vocali non da poco, che qui si cala perfettamente nel contesto offrendo una performance intensa ed emotiva.
Si tratta di musical rock ai massimi livelli, capace di armonizzare epicità e dolci melodie. La Trans-Siberian Orchestra è una costruzione monumentale, un castello magico dove si muovono musicisti di classe, pronti a donarvi emozioni a pacchi. Se, nonostante la truce barba, il petto villoso e le orecchie ormai dolenti di metallo pestante, in fondo vi batte un cuore, il mio consiglio è di mettere sotto l’albero una copia di “Letters From The Labyrinth”.