Recensione: Leviathan
Con il nuovissimo Leviathan i Therion sono nuovamente ai nastri di partenza. Ne è passata di acqua sotto i ponti dagli inizi doom death scolastico, per proseguire inserendo l’opera e l’orchestrazione sinfonica rendendoli piano piano uno tra i gruppi metal più originali degli anni ’90, fino ad arrivare all’azzardo dell’opera Beloved Antichrist.
In questo lavoro Christofer Johnsson chiama a raccolta (come sua consuetudine) un cast d’importanti guest star come Marco Hietala (Tarot, ex Nightwish), il solito Mats Leven (ex Candlemass ex Yngwie Malmsteen), Noa Gruman (Scardust) e il soprano Taida Nazraic. Nomi rilevanti e talento in abbondanza insieme a buone idee anche se sparse qua e là, questa l’accoppiata di Leviathan: durante l’ascolto dell’album, infatti, è fortissima la sensazione che qualsiasi momento debba essere forzatamente sinfonico, spesso però a discapito della qualità dei brani in sé.
I Therion spaziano in svariati generi metal in questo lavoro, ma a volte scimmiottano i Nightwish, poco dopo gli Hammerfall, per finire spesso a non caratterizzare in maniera rilevante i pezzi in scaletta. L’attenzione, dunque, scema nel trascorrere di momenti che si susseguono un po’ come fossero delle copie: ci sono orchestrazioni symphonic metal suonate con perizia tecnica e bellissime female voices, ma spesso in mezzo a melodie stantie e già sentite. È davvero un peccato perché alcuni frangenti dei brani hanno spunti molto cool, ma non cuciono l’abito nella sua forma completa, come una bella cravatta indossata insieme a un vestito dismesso.
Stiamo parlando dello stesso gruppo che realizzò il bellissimo Vovin ma onestamente Leviathan non regge il confronto, anche se però nasce con l’intento di essere un disco semplice e diretto. Il talento salva i Therion da una clamorosa débâcle, ma per chi ama la loro arte e il metal più sperimentale, questo non è comunque sufficiente, anche in considerazione del parterre ricco di ospiti. Occorre anche rimarcare il fatto che si ricorre a un’eccessiva semplificazione nel songwriting, i pezzi, seppur gradevoli, lo ribadiamo, sanno troppo di déjà-vu e spesso si rasentano lidi eccessivamente easy listening…
In conclusione si può dire che questo lavoro non sia riuscito: si possono considerare ancora i Therion come un gruppo speciale che ha spesso osato e sperimentato, con picchi qualitativamente rimarchevoli come il sopra menzionato Vovin, oppure Theli, ma attualmente la creatura di Christofer Johnsson sta vivendo un momento di involuzione.
Il credito guadagnato attraverso venti album, alcuni davvero notevoli, non viene scalfito da quest’ultimo mezzo passo falso. Leviathan penso sia il più debole tra tutti i loro album, ma questo ha un’importanza relativa perché basta andare a ritroso nel tempo per rifare un viaggio bellissimo, godendo delle numerose perle che il gruppo svedese ha regalato in passato.
The next will be better…