Recensione: L’Feu e la Stria
L’Italia è un paese dal ricco patrimonio artistico e culturale, questo è risaputo: innumerevoli siti archeologici, opere, monumenti, costruzioni che il mondo intero ci invidia. Vi sono aspetti della nostra tradizione, usi e costumi, che sono assopiti, un po’ perché non fanno parte della cultura mainstream, e dall’altra parte perché, nel paese che ospita il Vaticano, questo sarebbe un argomento piuttosto scomodo da affrontare: la striaria, ovvero una particolare e antica forma di stregoneria, risalente al periodo romano, recuperata attraverso pratiche medianiche, come ampiamente spiegato nei libri di Dragon Rouge. L’Feu E La Stria, il fuoco e la strega, in dialetto piemontese. Parliamo, quindi, delle masche, donne all’apparenza normali ma dotate di facoltà sovrannaturali tra cui la capacità di trasformarsi in animali; sono immortali ma non conservano l’eterna giovinezza: sono quindi vulnerabili, e soggette a malattie ed invecchiamento, e quando ne hanno avuto abbastanza di questa vita, devono trasmettere i loro poteri ad un’altra creatura, spesso una giovane della famiglia.
Questo il concetto che ispira e muove note e testi dei LUM, che si muovono su un terreno pericoloso quanto affascinante ovvero quello di cercare di coniugare il black metal – movimento tendenzialmente legato a terre fredde e austere – al calore della tradizione italiana.
L’Feu E La Stria è l’Ep di debutto dei LUM, un nuovo progetto del duo composto da S.(The Ghost Gardener) alla voce e alla batteria e Krhura (Feralia, Ponte Del Diavolo, Inchiuvatu) al basso, chitarre, tastiere e sintetizzatore. L’artwork rappresenta alla perfezione i concetti contenuti in questo lavoro: sullo sfondo di un prato (il richiamo alla natura) c’è una sorta di corona fatta con ramoscelli, al cui centro c’è un fuoco, e nella parte bassa dei piccoli simboli riconducibili alla tradizione pagana.
…Ai sun le masche è il preludio in questo viaggio nella tradizione folkloristica piemontese: l’uso delle tastiere e dell’effetto organo, con un’oscura nenia che potrebbe essere una colonna sonora di un film di Dario Argento. Canto alla Luna è la descrizione di un rito di una congrega, che vuole rendere omaggio la Dea; si tratta di un brano molto crudo e grezzo, minimalista ed immediato, condito da ritmi e accelerazioni selvagge: tutto ciò porta l’ascoltatore sulla stessa dimensione della stria e del suo legame con la natura.
Le tastiere, che danno vita ad un’atmosfera che ricorda “Twin Peaks”, aprono Roca d’le Faie: è una canzone dai ritmi selvaggi, in cui emerge il basso distorto, che acuisce l’effetto “presa diretta”. Una delle scelte artistiche per la realizzazione di questo Ep, è il suono talmente grezzo che sembra essere registrato in presa diretta in un garage: questa scelta crea una particolare liaison tra la band e l’ascoltatore, riportandolo alla dimensione “naturale” della striaria e al suo rapporto con la Dea, diretto ed essenziale, senza alcuna figura a fungere da intermediario tra l’adepto e la divinità.
La dansa fisica ripercorre il canto della luna concettualmente e stilisticamente; i ritmi sono incalzanti, salvo per un intermezzo che rallenta per poi riprendere il tema principale della canzone: un’inquietante nenia a sei corde chiude il pezzo.
Una solenne quanto inquietante outro, la veja, chiude il cerchio (figura geometrica molto cara alle streghe..) e ci accompagna, solennemente, verso l’uscita dal bosco teatro dei riti descritti nei testi dei LUM.
Siamo di fronte ad un buon prodotto, sicuramente di nicchia, che mostra del potenziale. La scelta della presa diretta non è del tutto azzeccata: da un lato, contribuisce a creare empatia con l’ascoltatore, ma dall’altro penalizza il buon lavoro fatto con le chitarre. Probabilmente, un suono meno minimalista ed un maggiore lavoro in studio, avrebbero contribuito ad aumentare il livello di questo Ep di debutto dal sapore primitivo, che sicuramente sarà apprezzato da coloro che sono incuriositi dagli aspetti più oscuri della tradizione italiana.