Recensione: Life After Death
Il musicista Sal Hellraizerr si era già fatto conoscere con il suo progetto solista Cursed Moon ed il relativo album ‘Rite of Darkness’ del 2017, una miscela di Darkwave e primitivo Black Metal molto simile al risultato che si otterrebbe se si chiudessero nella stessa stanza Depeche Mode, Siouxsie and the Banshees e The Sisters of Mercy assieme a Tom G. Warrior, dandogli una penna ed un foglio pentagrammato e obbligandoli a comporre: un ibrido cupo, malinconico, carico di dolore e rabbia, sicuramente interessante, ma anche fortemente insano ed instabile, con i sintetizzatori che sovrastano le melodie.
Ora l’artista vuole farci conoscere il lato più ribelle e grintoso del proprio carattere attraverso ‘Hellraizerr’, il suo secondo progetto omonimo.
Sotto questo monicker ha scelto tredici suoi vecchi brani, rinnovandoli per l’occasione e raccogliendoli nell’album ‘Life After Death’, disponibile dal 24 novembre 2020 via Reaper Metal Production.
E’ un lavoro senza infamia e con qualche lode, agganciato nostalgicamente agli anni ’80 della NWOBHM, dello Speed e del primo Thrash.
I sintetizzatori ed i suoni elettronici di ‘Rite of Darkness’ vengono messi in secondo piano, giusto per mantenere quel senso di oscura malvagità che attanaglia per tutto il platter, e l’aggressione sonora viene amplificata dando protagonismo alla distorsione degli strumenti cordofoni elettrici.
I brani sono essenzialmente veloci, con quell’andatura ‘scazzatamente’ punk ‘n’ roll che ci hanno fatto conoscere i Motorhead unita alla ferocia diabolica dei primi Venom ed alla nera pesantezza dei Tank, con un ampio lavoro di chitarra e parecchi buoni assoli.
Il songwriting è genuino, diretto e sufficientemente sfrontato per piacere agli amanti di questo genere antico, ma sempre attuale. Sulla lunghezza perde un po’ di spontaneità a dirla tutta, forse a causa del fatto che è il lavoro di un singolo che si è voluto occupare praticamente di tutto, entrando tanto nel dettaglio. A volte è anche un po’ omogeneo (termine educato per dire che alcune canzoni si assomigliano), tanto è vero che l’artista ricorre ad un netto stacco centrale: ‘Hellbound’ è un pezzo strumentale di musica elettronica che non centra niente con il contesto … ma proprio nulla! In pratica da un cesto pieno di pelle, catene e borchie saltano fuori i Depeche Mode e le strobosfere delle discoteche degli anni ’80 …
Mi dispiace, posso pensare ad un tentativo di proporre qualcosa di originale, un’alternativa alla classica ballad diciamo, ma non riesco a comprenderlo.
A parte questo, ‘Life After Death’ scorre come un inarrestabile torrente di lava. Brani come ‘Summoning of Demos’, ‘Realm of Madness’, ‘Collector of Souls’ e ‘Hordes of Decay’ sono dotati di una buona carica sulfurea e portano ad un insano headbanging, ‘Vengeance Rising’ mette in circolo parecchia adrenalina e ‘Vicious Assault’ è una bella mazzata con le sue improvvise sfuriate Black all’interno di una forsennata ritmica Rock ‘N’ Roll (la prima volta che l’ho ascoltata, al momento della iper accelerazione ho pensato mi si fosse rotto il lettore …).
L’album è stato masterizzato da Joel Grind (Toxic Holocaust) e vede la partecipazione di alcuni ospiti il cui apporto è stato decisamente prezioso: Chris Hellking (ex Savage Reign e one man band punk dalla Corea del Sud), che ha prestato la sua voce nella già citata ‘Vengeance Rising’ e nella granitica ‘Seeing Red’ ed ha suonato la batteria, Adame Axe dei Brain Dead (quelli statunitensi, tra una ventina di band con lo stesso nome) che ha suonato gli assoli in quasi tutti i pezzi e Jason Bacajol, in alcune tracce dietro al Synth.
Concludendo ‘Life After Death’ non fa gridare ‘al miracolo’, è più che altro un tributo all’estremismo degli anni ’80 senza neanche essere poi tanto estremo (richiama i Venom senza arrivare alla loro ferocia). E’ però onesto, orecchiabile e, soprattutto, divertente. Speriamo che la direzione intrapresa da Sal Hellraizzer non cambi mentre lo aspettiamo al varco.