Recensione: Life Belong To Death
Il colorato e piacevole artwork che accompagna il CD di “Life Belong To Death”, esordio discografico dei salentini Oylokon, mette subito in risalto le tematiche affrontate nel CD stesso. La simbologia adottata, difatti, rappresenta l’unione fra le rune “Odal” (disegnata rovesciata) e “Algiz”, a significare il rifiuto reciproco fra Uomo e Divino, con quest’ultimo indifferente alle miserevoli vicende dello stesso genere umano.
A dispetto dell’elencazione ufficiale dei tre membri della formazione italiana, in realtà i musicisti sono due: Reinblood alla voce e Runes alla chitarra e basso; dovendo intendersi per Olot, il batterista, l’acronimo di Our Lady Of Tecnology. Cioè, di una batteria campionata.
Questo particolare elemento, unito all’esperienza di Runes in due progetti alternativi di pop rock (Rossometile e Mucillina) tuttora in buona salute, regala al sound degli Oylokon una caratteristica di unicità senza dubbio gradita se non addirittura notevole. Da un lato, infatti, il… lavoro di Olot conferisce al ritmo un mood cibernetico, meccanico, che ovviamente non può che rimandare – ma solo per la percezione di un incedere non-antropomorfo – ai Fear Factory. Dall’altro, la bravura e l’esperienza di Runes propongono per le song di “Life Belong To Death” alcune soluzioni melodiche per nulla scontate e, per di più, assolutamente accattivanti. Seppure, circostanza da tenere in debita considerazione, il sound dell’ensemble tricolore sia duro, massiccio, potente. Lo stentoreo, furibondo growling di Reinblood, peraltro, unitamente alle accelerazioni di Olot che non mancano di sforare il muro dei blast-beats, spinge l’ensemble stesso dalla parte del death, anche se il guitarwork è leggermente spostato dal versante del thrash. L’insieme, comunque, è di una compattezza a tratti devastante (“Perpetual Prayer”, “Dry The Sea”, “Between My Teeth”), e dipinge lo stile degli Oylokon come uno dei migliori esempi di death metal moderno e avanzato in terra italica, attualmente.
Se Runes e compagni spaccano letteralmente le ossa, quando pigiano il piede sull’acceleratore, è però con i mid-tempo, almeno a parere di chi scrive, che il mefitico trio pardon duo riesce a dar luogo a qualcosa di veramente interessante. Poiché, e qui entra in gioco il talento personale, è proprio in tali occasioni che viene istintivo, per chi ascolta, alzare il volume per godere appieno delle ottime soluzioni armoniche inserite. Non bisogna certamente aspettarsi avvolgenti orchestrazioni, ritornelli catchy o inserti ambient di chissà quale spessore. Niente di tutto ciò: agli Oylokon basta davvero poco per piacere. Come dimostrano inequivocabilmente song quali “No One Turns Back” e “Pick Up Your Head”. Ma, ancor di più “Next Death” e “Thornless”, nelle quali l’inserimento delle tastiere e il growling semi-melodico (sic!) di Reinblood lasciano intravedere delle possibilità di esplorazione musicale praticamente infinita, da parte loro, nel campo del metal estremo.
Non si può, allora, che augurare agli Oylokon di trovare con rapidità una label in grado di supportarli adeguatamente per uscire dal limbo underground un cui si trovano adesso, poiché “Life Belong To Death“ merita di più, molto di più, di essere una ‘normale’ autoproduzione.
Daniele “dani66” D’Adamo