Recensione: Light Of Day, Day Of Darkness
Quando pensi che ormai, in campo musicale nulla riesca più a smuoverti l’anima ed a stimolarti l’immaginazione, ecco che spuntano album come “Light Of Day, Day Of Darkness” a farti ricredere.
Questo è il secondo lavoro del gruppo, che ricordiamo fu la prima incarnazione della cult-band In The Woods e potrebbe essere visto come seconda tappa del viaggio interiore di un uomo (Tchort) colpito da una terribile tragedia: la morte del figlio. Tragedia che in un modo o in un altro ha influenzato le tre opere sino ad ora composte dai G.C. Il nostro “Light Of…” sta nella fase intermedia, dove il dolore ancora è ben presente, ma viene in parte alleviato dalla felicità per la nascita di un nuovo figlio (Damien).
Questo non è semplice gossip, ma sono informazioni importanti, le chiavi per aprire e capire questo lavoro. Perché “Light Of…” in se è un album bellissimo, ma acquista ulteriore valore se si viene a conoscenza della storia che si cela dietro. Tutto assume un altro significato. L’immaginazione gioca un ruolo fondamentale, bisogna associare suoni ad immagini. Tutta la prima parte può essere ricollegata al dolore e all’incapacità di trovare risposte a quei “perché?” che lacerano la mente in casi come questi. Sino ad arrivare al 33° min. circa, quando una voce femminile (Synne Soprana) sgraziata, quasi dimessa nella sua cantilena cacofonica, ci conduce presumibilmente al saluto finale di una mamma nei confronti del figlio (immagine che compare anche nel libretto).
La seconda parte, invece porta a pensare al parziale riscatto grazie alla nascita del nuovo figlio, di cui possiamo sentire le dolci risate.
Dal lato puramente musicale, ci troviamo di fronte ad un’opera molto ambiziosa. Oltre ai componenti del gruppo, sono presenti sette musicisti aggiuntivi, un coro di bambini ed un coro d’opera. Il tutto diretto da Tchort, musicista eclettico famoso per le sue collaborazioni con gli Emperor, i Carphatian Forest, Blood Red Throne e gli stessi In The Woods, che di “Light Of…” ne è il totale creatore ed ideatore.
La struttura è insolita: un solo brano per la durata di 60 min che ininterrottamente cambia umore e forma. Pesca a piene mani dal Prog anni ’70, rendendolo semplice e moderno grazie a piccole dosi di Death melodico svedese alla Edge Of Sanity, avvicinandosi in alcuni punti agli Arcturus di “La Masquerade Infernale” eliminando però le parti allucinate e psichedeliche.
Per quanto riguarda la voce, Kjetil Nordhus raramente si affida al growl di stampo Death, solo in alcuni punti ne fa uso per enfatizzare i diversi umori testuali. Mentre predilige utilizzare toni medi e caldi, sulla scia di grandi cantanti come Trickster G. (Ulver – Arcturus), Dan Swano (Edge Of Sanity – Nightingale etc.) e Simen Estnaes (Dimmu Borgir – Borknagar – Arcturus) e come loro riesce a creare linee vocali raffinate ma allo stesso tempo facilmente memorizzabili.
Unico difetto riscontrato è nella seconda parte di “Light Of…” dove si nota un eccessivo prolungamento di alcuni riff, ma il tutto non intacca la bellezza di un lavoro unico, nel periodo passato quasi inosservato, ma recentemente rivalutato. Un lavoro più che da ascoltare, da vivere intensamente.
P.S. Questa recensione è solo una mia interpretazione di “Light Of…”, non ho tradotto il testo parola per parola, ho solo lasciato fluire le immagini che la musica mi trasmetteva. Fate lo stesso gioco anche voi senza dare troppa importanza alle mie parole.
Carlo “Carma1977” Masu