Recensione: Light Up The Sky

Di Carlo Passa - 29 Giugno 2024 - 10:40
Light Up The Sky
Band: Sunbomb
Etichetta: Frontiers Music Srl
Genere: Heavy 
Anno: 2024
Nazione:
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79

Fa piacere venire a sapere che la collaborazione tra la voce di Michael Sweet (Stryper) e la chitarra di Tracii Guns (L.A. Guns) sotto il monicker Sunbomb stia continuando; e a conferma della solidità del progetto sta il fatto che anche la base ritmica della band è rimasta immutata, cosa non del tutto ovvia in tempi che fanno dell’estemporaneità un feticcio.
Dopo il bell’esordio Evil and Divine, eccoci dunque ad ascoltare il nuovo Light Up The Sky, che, lo diciamo subito, conferma quanto di buono i Sunbomb ci avevano messo nelle orecchie tre anni fa. Non ci si aspetti, quindi, nulla che richiami lo street rock degli L.A. Guns; ma i Sunbomb non sono neppure troppo vicini all’heavy metal degli Stryper. Piuttosto, Michael Sweet e Tracii Guns onorano i nomi che l’heavy metal hanno forgiato: su tutti, i Black Sabbath più evocativi e i Judas Priest più cadenzati. In vero, ascoltando Light Up The Sky, risuonano i rimandi a molte band tipicamente heavy metal: ma, scrivendo queste righe, mi rendo conto di come, alla fine, tutte esse attingano alla medesima fonte, scoperta da Toni Iommi e Rob Halford.
Un pezzo come Light Up the Skies, ad esempio, è un riassunto straordinario di ciò che l’heavy metal è: epicità, melodia, headbanging, dinamismo, aggressività, evocazione.
Unbreakable e In Grace We’ll Find Our Name suonano davvero molto Black Sabbath anni Ottanta: da qualche parte tra Heaven and Hell, Headless Cross e Tyr.
Steel Hearts e Rewind accentuano il lato più groove della band, mentre Scream Out Loud ha un gran tiro e un bridge altisonante davvero bello che non dispiacerebbe ai Judas Priest: insomma, siamo sempre lì.
Meritevoli di menzione speciale sono anche la cadenzata Winds of Fate, i cui cori ci portano negli anni Settanta, quando tutto questo suonava nuovo e dirompente, e Beyond the Odds, vera manna dal cielo per il metallaro che non smette di rovinarsi l’osso del collo.
Infine, se Setting the Sail è un pezzo epicheggiante un poco slabbrato, Where We Belong (di cui la versione giapponese del disco incude una versione acustica) è una dolce ballad non banale, molto sentita e arrangiata benissimo.
In conclusione, Light Up the Sky conferma la validità della vena compositiva dei Sunbomb e, più ampiamente, la straordinaria fertilità di un genere che non smette di rinascere dalle proprie ceneri. Certo, non possiamo trascurare il fatto che la rinascita non sia davvero un risorgimento. I Sunbomb sono una band esplicitamente retro, che di conseguenza non inventa niente: non vuole e, forse, non può inventare niente, come la grande maggioranza dei dischi che ci passano oggi per le mani. Rispetto ad altri prodotti, però, Light Up the Sky suona vero e non plastificato, suonato e non semplicemente realizzato. Che a metterlo sul mercato siano due vecchie glorie e non dei giovani non può non far pensare. Nel farlo, tuttavia, ci godiamo quel gran pezzo che è Light Up the Skies, lasciando fluire la passione, che è il fulcro stesso di dischi come questo.

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