Recensione: Lightning Strikes Again
I Dokken negli anni Ottanta hanno rappresentato uno dei più fulgidi – se non, addirittura, il più fulgido – esempio di fusione fra l’Hard Rock/Hair Metal/Class Metal tanto in voga a Los Angeles e dintorni nel periodo e gli stilemi dell’HM classico di stampo universale. Coniugare al meglio la melodia di suoni caldi e suadenti con la violenza dell’heavy metal era patrimonio di pochissimi, quantomeno per raggiungere il livello di band come Dokken. A testimonianza di quanto scritto Tooth and Nail (1984) e Under Lock and Key (1985) rimangono tuttora capolavori assoluti del genere, probabilmente ineguagliati, mentre Back for the Attack del 1987 si difende comunque bene, senza però raggiungere i picchi dei due dischi sopraccitati. Poi, vuoi per gli eccessi di tutti i tipi di quei momenti magici, vuoi per alcune importanti defezioni a livello di line-up, la carriera dei Dokken è stata un susseguirsi di album interlocutori, se non addirittura incolori.
Come da dichiarazioni del diretto interessato – Mr. Dokken – , questo nuovo Lightning Strikes Again doveva, nelle intenzioni, tornare alle radici del sound degli americani, proprio quelle che da Back for the Attack in poi si erano perse. Ebbene, un chitarrista come George Lynch non lo si trova per strada. Seppur Jon Levin sia un buon interprete dello strumento, la storica ascia dei Dokken rimane insostituibile, e si sente! Don Dokken, dal canto suo, non è mai stato un fuoriclasse dietro al microfono e lo scorrere del tempo non ha fatto altro che farlo precipitare nella zona di classifica appena sopra la retrocessione, tanto per utilizzare una metafora calcistica. Lo storico Mick Brown probabilmente si adegua alle nuove direttive del buon Don e non si mette di certo a fare lo Scott Travis della situazione.
Questo, in sintesi, è l’impietoso quadretto che esce dall’ascolto di Lightning Strikes Again. Scorrendo i dodici brani proposti poche sono le luci. All’interno dell’opener Standing on the Outside si respirano, seppur lontanamente, i profumi dei bei vecchi tempi andati grazie a un songwriting azzeccato e a cori accettabili, così come nella successiva Give Me a Reason, penalizzata però da un chorus al di sotto delle attese. Heart of Stone non è malvagia: manca, come al solito, della sana dose di incisività e dell’onda d’urto necessaria. Stessa sorte per Point of No Return. Le due ballad di turno, rispettivamente How I Miss Your Smile e I Remember, sono semplicemente incolori, roba che una Alone Again “ne fa dentro quattro” di ‘ste qua. Nella seconda parte del disco, poi, si assiste a una caduta verticale dell’ispirazione, a livello della Streif di Kitzbuehel in pieno gennaio: niente di inascoltabile, sia chiaro, solamente troppo poco per una band di classe come Dokken. Un titolo come Lightning Strikes Again, canzone tratta da Under Lock and Key e a Suo tempo definita dalle colonne dell’autorevole rivista H/M come “la thrasher del disco” si meritava di certo di più.
Solamente pochissime band degli Eighties oggi come oggi riescono a non far rimpiangere il Proprio passato, cosa non accaduta per i Dokken, e mi spiace veramente moltissimo doverlo rimarcare.
Stefano “Steven Rich” Ricetti
Line-up:
Don Dokken – voce
Jon Levin – chitarra
Barry Sparks – basso
Mick Brown – batteria
Tracklist:
1. Standing on The Outside
2. Give Me a Reason
3. Heart To Stone
4. Disease
5. How I Miss Your Smile
6. Oasis
7. Point of No Return
8. I Remember
9. Judgement Day
10. It Means
11. Release Me
12. This Fire