Recensione: Lights From Oblivion
La ricerca del Sacro Graal in musica non è patrimonio di tutti, soprattutto in ambiti duri, ove la coerenza paga sempre molto e alla fine, nonostante le solite trite e ritrite dichiarazioni di circostanza espresse nelle interviste da parte della band di turno, funge spesso da panacea, con buona pace di tutti: fan, etichette, lo stesso gruppo ma soprattutto il mercato. Davvero pochi sono quegli ensemble che per davvero non si accontentano e in fondo in fondo non riescono mai ad essere pienamente soddisfatti del Loro prodotto, proprio perché iper-critici verso se stessi.
Gli Adramelch da Milano fanno parte di questo ristretto novero di artisti, gente che osa sempre e comunque, mettendoci la faccia e avendo il coraggio di scontentare qualcuno. Dato per assodato che la proposta dei cinque effettivi non è mai stata facile né velocemente digeribile, l’ultimo nato in quel di Meneghinia sposta ancora più in alto l’asticella della difficoltà di assimilazione.
Lights From Oblivion, questo il suo nome, come gli eccellenti predecessori Irae Melanox (1988) e Broken History (2005) necessita di più e più ascolti per entrare veramente sottopelle. L’approccio tutt’altro che facile e immediato costituisce la forza ma anche il limite del disco, e fin qui nulla di nuovo in casa Adramelch. Le dodici tracce per sessantadue minuti di durata complessiva disegnano orizzonti musicali che sanno affondare le proprie radici nel glorioso passato della band virando verso tinte legate al prog in numerosi passaggi, sempre mantenendo fede alla perizia tecnica che da sempre costituisce il miglior biglietto da visita dei milanesi, invero utilizzato più nei Land della Germania che in patria, quantomeno a certi livelli e generalizzando.
A parte i due strumentali, il resto dei pezzi gode della sempre particolare voce di Vittorio Ballerio, accompagnato in questo viaggio color pastello dal sodale Gianluca Corona alla chitarra, Fabio Troiani alla seconda ascia, Sigfrido “Sig” Percich alla batteria e Maurizio “Mau” Lietti al basso.
La componente più legata all’heavy metal, quando presente, permane sui livelli canonici della produzione degli ‘Adrams, quindi eleganza mista a quel petting siderurgico che in pratica è divenuto il vero e più riconoscibile trademark del gruppo. Gli inserti prog inevitabilmente vanno a detrimento degli ingredienti epic che nella storia degli Adramelch, seppur soffusi, hanno sempre avuto il loro peso. Un disco quindi che è in grado di suscitare l’interesse dell’ascoltatore di questo genere, mentre defender e dintorni dovranno masticare parecchio per ingraziarsi le dodici canzoni fino in fondo, sempre che poi vi riescano.
Al di là di questo la produzione dell’album è dinamica assolutamente calzante per il prodotto.
Il pathos e l’emozione di Lights From Oblivion passa attraverso le trame drammatiche di Aelegia, lo strazio di Islands Of Madness, la sontuosità di Wonderful Magician – uno degli highlight del disco, per lo scriba – le schitarrate in Beyond a Lifetime, Tides Of My Soul con Alex Mereu degli Holy Martyr, le pennate acustiche della fottutamente seventies King (Of The Reign Of Tomorrow), le accelerate contenute in Pain After Pain, il fil rouge epico con il passato ingombrante del gruppo contenuto in We March, i lamenti arabeggianti e da pelle d’oca di Oblivion.
Booklet all’altezza di un prodotto marchiato Adramelch: ben trentadue pagine in totale curatissime anche per quanto attiene la grafica interna e, ovviamente, tutti i testi.
Lights From Oblivion: magia tutta italiana, ancora una volta. Chapeau.
Stefano “Steven Rich” Ricetti
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Tracklist:
1. Lights
2. Aelegia
3. Islands Of Madness
4. Truth Lies
5. Wonderful Magician
6. Beyond A Lifetime
7. Tides Of My Soul
8. Chiaroscuro (instrumental)
9. King (Of The Rain Of Tomorrow)
10. Pain After Pain
11. We March, We Fail
12. Oblivion
Line-up:
vocals – Vittorio Ballerio
guitars – Gianluca A. Corona
guitars – Fabio Troiani
drums – Sigfrido Percich
bass – Maurizio Lietti