Recensione: Lights Of Japan
Conoscendo piuttosto bene la discografia della brava Issa, non sembra troppo complicato descrivere quanto contenuto in “Lights of Japan“, settimo capitolo discografico della singer norvegese.
AOR.
Essenzialmente AOR. O magari a qualcuno piacerà chiamarlo rock melodico, giusto per dargli un tono più “professionale” e serioso.
Fatto è che la “musica” – per fortuna o meno, dipende dai gusti – non cambia più di tanto.
O forse… giusto un po’…
In effetti la ricetta melodic rock di miss Oversveen si è fatta, album dopo album, consolidata e immobile. Un ambiente pop-AOR statico, fisso nel riproporre formule ben attagliate allo stile da femme-fatale della biondissima e fascinosa cantante, impeccabile da ogni fronte ma ormai, da qualche anno, inevitabilmente prevedibile.
Siamo sinceri: gli ultimi due-tre dischi erano carucci, ma alla fine potevano essere classificati come fotocopie intercambiabili. Molto gradevoli nella forma, ascoltabili e parecchio radio friendly. Ma, gioco forza, un po’ impolverati e decisamente tutti uguali tra di loro.
Insomma, ad ascoltarli se ne traggono ancora oggi buone sensazioni. Ma nulla che si possa definire irrinunciabile.
Deve averlo capito lei stessa. Tant’è che, per la prima volta dopo parecchio tempo, in un album di Issa si percepiscono significative variazioni d’umore. Frammenti che in un impianto stilistico diventato quasi “cristallizzato”, sembrano vere boccate d’ossigeno.
Più contemporaneo, ispirato ed in qualche modo carico di maggiore profondità, “Lights of Japan” è un disco che promette di valicare la soglia inesorabile dei tre ascolti fugaci per sedimentare un po’ di più. Una volta tanto c’è dello spessore aggiuntivo in brani sempre fedeli al sound AOR ma più stimolanti e vitali del solito.
Il sospetto che il merito sia da ascrivere alla collaborazione con il marito James Martin ed il cognato Tom (i due fratelli che hanno fatto la fortuna dei Vega) è quasi banale.
Ma ci prende in “pieno”, giacché le canzoni stavolta sono molto più dinamiche, strutturate e – pur rimanendo del tutto easy – dotate di una raffinatezza che suggerisce l’idea di un prodotto “artigianale” e non “standardizzato”. L’idea tangibile di un album con un valore artistico preciso e non “all’acqua di rose” com’era apparsa la musica di miss Oversveen da qualche tempo a questa parte.
Potrà piacere o meno, ma questo è, probabilmente il miglior disco di Issa realizzato sin qui. Meno pop di facile consumo a favore di una dose massiccia di melodic rock di buona qualità che, senza essere troppo “piacione” o svenevole, mette assieme un’ottima voce e belle melodie per confezionare qualcosa di quantomeno interessante.
La mano dei fratelli Martin è evidentissima. L’incipit di un brano come “Seize the Day” sa quasi di autografo. Il fascinoso sax di “Moon of Love” è roba in stile Vega 100%. L’incedere iper melodico di “I Give my Heart” fa sospettare che, da un momento all’altro, si materializzi il buon Nick Workman a duettare sulle ali del romanticismo.
I panorami notturni di “Shadow to the Light” infine, fugano ogni dubbio sulla validità di un operazione di discreto e raffinato restyling che pur rimanendo in ambiti molto ben definiti, convince in buona misura.
Anche l’immagine sembra differente. Abbandonati i toni della “fatalona”, Issa assume quelli dell’interprete contemporanea, immersa in un panorama metropolitano che si distanzia non poco dall’aria ammiccante e trasognata delle precedenti copertine.
I detrattori dell’espresività molto easy e forse troppo annacquata proposta da Issa negli ultimi tempi saranno comunque trattenuti e diffidenti. E, in tutta onestà, dubitiamo possano cambiare idea nemmeno stavolta.
A loro, come a tutti gli appassionati di AOR, volgiamo comunque il consiglio di dare almeno una chance a “Lights of Japan“.
Ci sono molte cose buone da scoprire ed alcune canzoni ben scritte che potrebbero non far pentire di averci provato.