Recensione: Likferd

Di Daniele Balestrieri - 21 Febbraio 2004 - 0:00
Likferd
Band: Windir
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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81

Nati nella fredda Norvegia all’alba del 1994, un periodo fertilissimo per il Black/Viking Metal esordiente, i Windir crescono sotto l’ombra di un sapiente Valfar (frontman/vocalist/strumentista) e si pongono all’attenzione del pubblico black grazie all’eccellente 1184, album di grande impatto che segna un momento importante nella storia di quella fusione tra black feroce e melodie folk che passerà sotto il nome di Viking Metal.

Dopo quasi dieci anni e una carriera apprezzata dai seguaci del settore ma completamente sconosciuta al grande pubblico, i Windir ritornano nel 2003 con questo Likferd, “funerale”. Anche se non è di certo un’opera stravolgente, e non riscriverà di certo i canoni nè del viking metal e nè del black metal, quest’album rappresenta sicuramente il picco della loro evoluzione, presentando agli ascoltatori un’opera sapiente, ben orchestrata e ben articolata, un viaggio appassionante nella cultura black norvegese, con chicche di gran classe e orchestrazioni che nascondono una maestria musicale davvero ai vertici del genere.
Likferd propone una solidissima base black, una base ereditata da maestri del black quali Emperor, Mayhem e i primissimi Enslaved, unita a una serie di riff molto ben strutturati di scuola quasi thrash, con ottimi inserti di tastiere melodiche e occasionali cori di voci pulite. Insomma, il classico blend viking che ha già fatto la fortuna di band come i Månegarm e molte altre di questo tipo.

L’album si apre con “Resurrection of the Wild“, quella che appare la solita intro strumentale/orchestrale, se non fosse per una batteria insistente che disturba l’orecchio, quasi instillando uno stato di angoscia nell’ascoltatore… che difatti dopo nemmeno 30 secondi si ritrova in un’orgia violentissima di riff black, batteria a trapano e scream satanici. Un grande impatto greve di vecchia scuola scandinava, che potrebbe far storcere l’angolo della bocca a coloro che amano il black più melodico, ma con il viking non si dà mai nulla per scontato, fin tanto che la parte black continua a martellare, e la ruota melodica inizia lentamente a girare, e la canzone inizia a inanellare una serie di riff eccellenti, uno dietro l’altro, mentre prende posto una tastiera sontuosa e dei cori quasi àsmegin-eschi. La canzone da sola probabilmente mette in display tutta la fantasia e l’estro creativo della band, che poi si svolgerà meglio nel corso delle restanti sette canzoni, tutte più o meno sullo stesso impianto.

Da segnalare l’epica “Fagning” come una delle canzoni più interessanti dell’album: un tormento di otto minuti e mezzo con un riff portante eccezionale, delle sonorità profonde, estremamente ispirate, che traggono a grandi mani da déi antichi come i primi enslaved, emperor, conditi da controtempi di batteria e di pezzi quasi heavy da lasciare a bocca aperta, il tutto sapientemente orchestrato dalla voce greve e rauca di Valfar, che si fa strada tra violini e cori maschili davvero fuori dal comune. E come non citare la caricatissima “Blodssvik“, ancora graziata da un riff portante di grande ispirazione, e da un intermezzo elettronico davvero inatteso, roba alla “…and oceans”, o alla amorphis (ricordate l’insertino elettronico di Elegy che ha fatto discutere i fans per anni e anni?) – beh tutto questo non fa altro che rendere l’ascolto interessante, e soprattutto rende consapevoli di quanto la band sia arrivata a un punto di maturità tale da rendere possibili queste sperimentazioni al limite del “true”, senza rovinare il disco. La traccia di chiusura, “Ætti Mørkna“, è inoltre da segnalare per una variazione quasi rock a metà della cazone, un’ennesima sperimentazione perfettamente riuscita, un’inquinamento che arricchisce l’album e lo eleva sicuramente al di sopra delle produzioni più statiche di questo genere.

Album come Likferd non meritano di passare in sordina: è degna di menzione la produzione più che eccellente (siamo lontani dal grezzume del true norwegian black), che comprende un libretto di gran classe, una copertina definita e artisticamente notevole, e una registrazione professionale negli stessi studi degli Zyklon e degli Emperor, gli Akkerhaugen. Ottima prova black, ottimi assoli di melodie trascinanti, di altri tempi, ottimi equilibri tra folk e black, un album che saprà trasportarvi e caricarvi di passione come pochi. Tutto sa leggermente di già sentito, non siamo ai livelli di sperimentazione assoluta in stile àsmegin e non siamo nella scuola viking mainstream dei Månegarm. Qualunque amante dell’ottimo black moderno e del viking è pregato di dare una chance ai Windir, specialmente ora che la band, purtroppo, è prossima allo sfaldamento a causa della recente morte per assideramento del grande Valfar, una perdita davvero grave, alla luce di lavori geniali, luminosi e soprattutto esaltanti come questo.

Tracklist:

1. Resurrection Of The Wild
2. Martyrium
3. Despot
4. Blodssvik
5. Fagning
6. On The Mountain Of Goats
7. Dauden
8. Ætti Mørkna

 

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