Recensione: L’Incendio

Di Daniele D'Adamo - 21 Luglio 2016 - 19:43
L’Incendio
Band: L’Incendio
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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78

Ancora una volta.

Ancora una volta si è costretti ad assistere, impotenti, alla bravura di una band italiana che, al contrario di quanto accade molto, troppo spesso altrove, è priva di un contratto discografico ed è quindi costretta da fare da sé.

«Chi fa da sé fa per tre», d’accordo. Ma, gli imolesi L’Incendio lo meriterebbero al volo, un aiuto importante, giacché il loro full-length di debutto, l’omonimo “L’Incendio”, si mostra con facilità come una delle migliori autoproduzioni partorite dall’italica terra, perlomeno in quest’assolata estate del 2016.

Prima di tutto il confezionamento. Il digipack a due ante che contiene il CD ha una manifattura e un’impronta artistica di livello assolutamente professionale, con tanto di poster e testi. Un artwork, creato da Francesco D’Adamo (nulla a che vedere col sottoscritto, NdR), che si salda al concept che regge l’album. Il fuoco, l’incendio, le fiamme. Rosso, giallo, arancione. Non fiamme fisicamente palpabili, non sintomatiche di combustione aerobica. Anzi, foriere di una inscrollabile sensazione di gelo, di freddo, di squallore che si prova sulla pelle osservando le luci giallaste/arancioni che illuminano la notte degli agglomerati industriali. Centrali elettriche. Caselli autostradali. Capannoni e aree artigianali. Un concept forte, questo, poiché limitativo anzi tendente all’esclusione di un futuro vivibile, per il genere umano.

Non è solo la riuscitissima impostazione grafica, a sollevare tali emozioni in chi osserva. Anzi, è proprio la musica dei Nostri che finge da colonna sonora per i vari episodi che, piano piano, conducono al disfacimento della Speranza. Dalla stupenda, per il ritornello in clean, ‘Zion Ruins’, alla tentacolare, triste e malinconica suite finale ‘L’Incendio pt. 1 & 2’jazzata dal sax di Alessandro Bandini – , l’ensemble romagnolo mostra un’incredibile personalità artistica. In grado di differenziale al massimo le varie song (per esempio, il blackened death metal di ‘Immanent’, à la Behemoth, sic!).

Ed è ‘Immanent’, proprio, che mette a nudo la fantastica coesione dei due chitarristi Matteo Nanni e Mirko Monti. Capaci di compiere qualsiasi azione… compibile da due chitarre che suonano assieme. Dalla costruzione di trascinanti e irresistibili riff portanti, agli intrecci armonici, ai fini ceselli dei soli. Un affiatamento che, fatte chiaramente le debite proporzioni, ricorda – almeno ai più attempati – , il lavorìo stampato per l’eternità dalle due asce degli Iron Maiden in occasione dei primi due loro studio-album.

Eccellente la cucitura operata dal basso di Luca Bassani e il dinamicissimo drumming dello stesso Nanni, fluido e senza sbavature sia nei passaggi più complessi, sia quando la spinta diverge oltre la follia dei blast-beats (‘The Abyss’). Inappuntabili le linee vocali quando aggrediscono in growling come nella violentissima ‘The Nation of Deams’, mentre appaiono migliorabili quando s’inerpicano in altro, durante i segmenti in clean (‘Smile On!’). Difetti veniali, che si risolvono facilmente con l’esercizio e l’esperienza.

Ma la qualità straordinaria degli L’Incendio è quella di saper creare musica estrema con uno stile totalmente personale, non avvicinabile – se non per qualche eco – a nessun’altra proposta del genere oltranzista. Anche oltralpe. Un marchio di fabbrica che è già perfettamente disegnato, rifinito e stampato su tutte i brani. Solo questo, vale tanto, molto. In più, ci sono perizia tecnica, idee compositive e, ultimo ma non ultimo, temi se non innovativi, almeno originali.

Bravissimi!

Daniele D’Adamo

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