Recensione: Lipservice
Ho ancora negli occhi e nelle orecchie la travolgente esibizione che i Gotthard hanno offerto al loro pubblico in quel del Tradate Iron Fest, quindi questo nuovo ed accattivante lavoro conferma ampiamente le ottime impressioni che i nuovi brani hanno suscitato al sottoscritto durante l’esibizione del suddetto festival. Il gruppo Elvetico torna a rockare, come ai bei tempi ed abbandona la maggiore propensione melodica espressa negli ultimi lavori, puntando di nuovo ad atmosfere più dure come nei primi album della band. Con questo non voglio dire che le ballate siano in secondo piano, ma è il giusto equilibrio tra l’elettricità e la melodia il punto di forza del full-lenght in esame. Lipservice, questo il titolo, continua il discorso musicale che i Gotthard iniziarono con l’omonimo album d’esordio del 1992 che trovò il suo apice creativo con lo splendido G pubblicato quattro anni più tardi e per conto mio, rappresenta l’apice creativo dell’ensemble Svizzero ed un classico degli anni Novanta. Bisogna registrare il cambio alla chitarra, in quanto Mandy Mayer lascia il posto a Freddy Scherer, non senza qualche bega legale. La versione cartonata in mio possesso consta di quattordici brani, con l’aggiunta della bonus-track Can’t Stop per un totale di un’ora di musica, più il video del singolo Lift U Up a completare un dischetto trascinante. Apre le ostilità l’hard-rock muscoloso e massiccio di All We Are, un concentrato d’energia tra gli Zep ed il Profondo Porpora, il quale mette subito in chiaro che i Gotthard sono tornati alla grande. Segue Dream On, un brano dalle atmosfere anni settanta, sostenuto da un ritornello accattivante. E’ la volta del singolo Lift U Up, un’anthem da cantare a squarciagola ai concerti, in quanto assolutamente trascinante sia nel ritmo sia nel ritornello. Molto bella è la ballad Everything I Want, esaltata da un’interpretazione sentita da parte di Steve Lee che conferma tutta la sua classe innata. Non bisogna preoccuparsi perché con la tosta Cupid’s Arrow si torna subito a rockare. Segue I Wonder dura e cadenzata. Mi piace in maniera particolare I’m Alive, brano molto hard-rock che ti fa muovere il piedino a tempo. L’organo Hammond introduce la settantiana I’ve Seen An Angel Cry, una power-ballad forse un po’ malinconica ma dotata di un ritornello esplosivo. La traccia seguente Stay For The Night è un hard-blues di quelli che lasciano il segno, dove la lezione infinita dei Deep Purple ed i suoi seguaci, trova la giusta e naturale affermazione. Poi tocca ad Anytime Anywhere che scorre via subito, sostenuta da riff moderni e dalla solita prestazione di Steve Lee, degna di essere annoverata tra i grandi nomi (ho apprezzato il suo modo di porsi on stage, con movenze che potevano ricordare un Robert Plant d’annata ed il cantante dei Black Crowes di cui non ricordo più il nome). Non scende l’adranalina neanche con la seguente Said & Done. Si rocka ancora con la scolastica The Other Side Of Me, un brano di transizione che si lascia in ogni modo apprezzare nel so sviluppo. Abbassa i ritmi l’atmosferica e West-Coastiana Nothing Left At All, mentre la seguente ed acustica And Then Goodbye getta un ideologico ponte con lo splendido live acustico D-Frosted. Ci pensa la bonus track Can’t Stop a rialzare i ritmi ed a concludere un lavoro degno dell’attenzione d’ogni rocker che si ripetti.
In conclusione mi sento di affermare che ci troviamo di fronte ad un lavoro di livello superiore alla media delle uscite più recenti e che sicuramente regalerà al gruppo la giusta consacrazione nel gotha delle grandi hard-rock bands.
All We Are
Dream On
Lift U Up
Everything I Want
Cupid’s Arrow
I Wonder
I’m Alive
I’ve Seen an Angel Cry
Stay for the Night
Anytime Anywhere
Said & Done
The Other Side of Me
Nothing Left at All
And Then Goodbye
Can’t Stop
