Recensione: Liquid Tension Experiment 3

Di Francesco Bellucci - 20 Aprile 2021 - 12:11

Avvertenza in astanteria

Come mia abitudine vorrei avvertire i gentili lettori che con questa recensione sentivo fosse mio dovere analizzare, spero in maniera sufficientemente dettagliata, uno degli album progressive metal più attesi dell’anno. Ciò mi ha condotto a realizzare un testo piuttosto lungo. Per chi, più che comprensibilmente, non volesse leggere tutta la sottostante giaculatoria, al fondo di essa troverà una sbrigativa sintesi di quanto così faticosamente mi sono impegnato a stendere. A coloro i quali invece decidessero di accordarmi un po’ del loro tempo, auguro buona lettura.

 

Nel 1997 l’etichetta Magna Carta Records proponeva a Mike Portnoy di creare un progetto solista che alla fine dello stesso anno prendeva forma nei Liquid Tension Experiment. Nato originariamente come solo project di Mike, i LTE si allontanano immediatamente da tali coordinate a causa della personalità e del talento dei nomi coinvolti: Tony Levin al basso ed al Chapman Stick, John Petrucci alla chitarra, Jordan Rudess, che allora non era ancora membro attivo dei Dream Theater, alle tastiere, ed ovviamente Mike Portnoy alla batteria.

Le intenzioni della band erano chiare: essere tecnici, progressivi, melodici e soprattutto spontanei. Il progetto LTE quindi offriva ai nostri lo spazio per idee che non avevano posto nella produzione dei Dream Theater, ma anche e soprattutto il contenitore adatto a sperimentare un approccio libero ed improvvisativo: insomma un diario su cui annotare nonsense, ispirazioni memorabili o epiche bêtise.

Verranno pubblicati due album, il primo nel 1998 ed il secondo nel 1999. A parere di chi scrive, nonostante nascano in questo contesto estremante libero, i risultati meglio riusciti dei LTE sono infatti quelli più ragionati, perché più di tutti riescono ad assorbire nel loro corredo genetico le attitudini progressive e melodiche dei membri della band. I brani vengono concepiti quasi istintivamente e poi, in fase di riscrittura e registrazione, sconosciuti eventi cosmici cospirano, non sempre riuscendoci, ad ingenerare piccole perle progressive.

Naturalmente questo processo del tutto fortuito, proprio perché in origine privo di aspettative, è anche privo di disciplina. E ciò come si può immaginare porta a risultati altalenanti. Forse è per questo che se penso ai Liquid Tension Experiment mi saltano in mente solo gemme isolate come Kindred Spirits, Universal Mind o Acid Rain: tutti brani lontani dai complessi algoritmi dreamtheateriani, che però contengono una struttura così compatta e coerente da rendere la loro personalità estremamente riconoscibile e peculiare.

 

Il 2021 è arrivato e dopo ben 22 anni ecco il terzo album dei Liquid Tension Experiment. Ascoltando alcune interviste ai membri della band ci si fa l’idea che quest’ultima fatica sia nata da due grandi istanze: la prima è stata quella di soddisfare l’affamato pubblico che da anni chiedeva famelico la pubblicazione di un nuovo lavoro. La seconda, più banale, risiede nel fatto che l’ultimo anno, così difficile, lento ed interlocutorio, abbia offerto ai nostri la fatale occasione per dedicarsi a questo LTE3, composto e registrato in un paio di settimane, come d’altro canto è stato per i predecessori.

Il processo creativo è lo stesso usato per i precedenti album del gruppo: i musicisti si incontrano in sala prove ed iniziano a suonare liberamente in jam session di 30 o 40 minuti alla volta. I quattro rielaborano poi le improvvisazioni, scomponendole e prendendo i mattoncini sonori più luccicanti per costruire quella che poi sarà la song definitiva. È un naturale processo di sottrazione ed aggiunta, di sfrondamento ed innesti affidato all’ispirazione del momento ed alla forza del collettivo. Ma vediamo il risultato allora.

 

 

  1. Hypersonic

Un pezzo contraddittorio, dalle grandi potenzialità, in cui spesso però sono presenti modulazioni sbrigative, un inelegante lavoro di patchwork ed unisoni un po’ banali. A onore del vero non mancano tante idee interessanti e numerosi momenti degni di nota come gli esaltanti 30 secondi dal minuto 02:02, un puro condensato di groove, tecnica e melodia. Ed ancora il lirico assolo di chitarra (03:15-03:57) dai golosi spunti metrico melodici (3:38-3:40) e dalle fresche linee classicheggianti. Divertente anche al minuto 03:59 un interludio dove il wha-wha ed il clavicembalo descrivono un piccolo momento da “muscial” che preclude ad un ponte contrappuntistico (04:11-04:28) dal forte sapore bachiano.

Il brano contiene anche ritmiche composte intriganti. Sentite a tal proposito il riff che parte dal minuto 04:28 (7/4+5/4+5/8). Gli assoli di chitarra e di tastiera sono interminabili e noiosi. Seguono due sezioni di cui la seconda strutturata attorno a un diabolico e serratissimo tempo composto 2/4+7/8 che elegantemente muta in 13/8 (e successivamente nel 4/8) e che chiude circolarmente con il riff iniziale.

 

  1. Beating The Odds

Il pezzo si origina da una fresca idea in 7/8 inchiodata da una saporita melodia di tastiere alla Magellan/Cairo. È un brano coerente, un tantino cheesy, ma ben equilibrato, senza grandi impennate, che sfrutta una idea melodica lavorata fino alle estreme conseguenze. Pieno di suggestione l’intervento melodico di Petrucci (01:30-02:14) che riporta alle atmosfere di Metropolis Pt.2. I soli di tastiera e chitarra sono tra i meglio riusciti dell’interno album. Peccato non aver sfruttato il libidinoso fraseggio chitarristico a chiusura del brano (05:47-06:06) per il quale vi invito a premere rewind ed alzare il volume.

 

  1. Liquid Evolution

È una track atmosferica che si regge su un suadente 4/4 ed un suono di marimba elettronica molto anni ‘80. Ciò crea la base per una splendida prova solistica di Petrucci, che fraseggia elegantemente e con un lirismo molto personale. Ritengo che sia proprio in questi cotesti che Petrucci dia il meglio di sé, avendo in dono un gusto melodico che liberato dalle catene del virtuosismo a tutti i costi, regalano momenti memorabili. Per chi non ricorda, invito caldamente a rispolverare il live in Tokyo del 1993 dove ci viene regalato un momento nodale del chitarrismo anni ‘90: il momento solista di un giovane ed ispiratissimo John Petrucci.

 

  1. The Passage Of Time

Song molto muscolare, ciò che si apprezza maggiormente sono le sue aperture melodiche. Ascoltate ad esempio l’interludio dal minuto 01:13 ad 01:47, dove il tappeto di tastiera apre dei sontuosi orizzonti sonori che dopo un delizioso ostinato di pianoforte lanciano un breve e sofisticato unisono con la chitarra. Gustosa anche l’apertura melodica dal minuto 02:02 che verrà ripetuta in chiusura del pezzo: perfetto per ripulire le grasse tinte claustrofobiche del riff. Il pezzo contiene tre soli di chitarra, il primo e l’ultimo dei quali sono a mio avviso i meglio riusciti dell’intero album.

 

  1. Chris & Kevin’s Amazing Odyssey

Il titolo riprende il brano Chris & Kevin’s Excellent Adventure dal primo album dei LTE, che altro non era che una jam tra Tony e Mike nata da una idea shuffle di batteria di Mike. La traccia in oggetto è sterile, inutile, che si presenta come una sorta di improvvisazione estemporanea. Un divertissement di Levin e Portnoy che finisce per non dare nulla all’ascoltatore se non un supplizio sonoro che invito a saltare a piè pari.

 

  1. Rhapsody in blue

L’idea di questa song è stata a quanto pare di Mike Portnoy che la propose anni fa alla band. Suonata per anni in sede live, di tale cover non era mai stata registrata una versione in studio. Liberamente tratta dalla più nota Rhapsody in Blue di George Gershwin (datata 1924), questa cover è stata davvero una scelta coraggiosa. Accattivante e riffosa nella sua reinterpretazione rocchettara, ahimè nell’incedere perde di slancio e sfocia nella disomogeneità, mostrando inesorabilmente il fianco quando i nostri sono chiamati alle prove soliste.

Interessante in generale, comunque, l’arrangiamento orchestrale della composizione che permette ai nostri di cimentarsi in qualcosa che sarebbe interessante se venisse ulteriormente sviluppato. Una attitudine più composta, da partitura scritta insomma, si presta molto a questo genere di band e di artisti che tendono ad una vicinanza più spostanea con la musica classica che con quella jazz. I pregi ed i difetti di questo pezzo sono l’ulteriore prova del fatto che un progetto come LTE funzioni molto meglio in ambiti strutturati, meditati, millimetrici, piuttosto che nei grandi spazi offerti dall’improvvisazione. Piccola nota di colore: la middle section di questa composizione non è stata registrata in studio, ma presa da una take live tenuta a Los Angeles.

 

  1. Shades of hope

Non poteva mancare la ballata strumentale pianoforte e chitarra che sembra sia divenuta una tappa obbligata per ogni lavoro dei LTE. Ma Shades Of Hope non si avvicina ad Houglass (dal secondo album del 1999), brano dalla delicata melodia e dal carattere cosi intimo e rassicurante, e nemmeno alla più genuina e minimalista State of Grace presente nell’album del 1998.

Il pezzo in oggetto resta la canonica ballad che da molta più soddisfazione e divertimento a chi la suona e non a chi l’ascolta. L’armonia è ripetitiva e piuttosto scolastica, fatta eccezione per la breve variazione di mestiere a metà brano (02:29).

La formula segreta per questo genere di pezzi è avere una melodia eccezionalmente vincente. In caso contrario il rischio quasi certo è di risultare soporiferi e privi di tridimensionalità. Ci sono belle cellule melodiche (02:29) ed originale resta, per lo stile di Petrucci, la modulazione finale con corde a vuoto. Il suono troppo bombastico della chitarra elettrica e la brevità di queste idee, però, non contribuiscono in maniera decisiva ad alzare il livello generale. Consiglio agli attenti lettori di dare un ascolto al brano Friend or Foe di Brett Garsed per avere un’idea di come dovrebbe essere un brano rock dove alla chitarra solista è affidata la responsabilità di reggere l’architettura dell’intero pezzo.

 

  1. Key to immagination

Nonostante la proibitiva lunghezza e la tendenza a spremere fin troppo idee banali, lasciando qualche secondo di gloria a cellule armoniche e melodiche più interessanti, questo brano è infarcito di felici intuizioni. La struttura è quella di una suite da rock opera nella quale echeggiano atmosfere alla Metropolis Pt.2.

Un lungo intro di tastiere e chitarra apre gli oltre 13 minuti di musica della composizione. Gagliardo il riff in 11/8 + 7/8 di stick e batteria dove la chitarra si inserisce in levare. Al minuto 02:09 l’organo raggruma il riff in un compatto 7/8 che dura fino al primo solo di chitarra. Lo schema che segue, dove sulla cellula ritmica si impianta la melodia di tastiera, è uno stilema che nell’album viene proposto ad oltranza. Classico della band (leggi Dream Theater) la riproposizione dal minuto 02:43 dell’accattivante intro melodica iniziale, puntellata da alcune modulazioni. Piccole e seducenti chicche le troviamo al minuto 04:04 con un bridge in 7+7+7+6, o al minuto 04:50 con un riff in 5+5+5+4. Ed ancora al minuto 05:30 ci attende un minaccioso riff in 4/4 a cui si sovrappone una tastiera arabeggiante che ricorda i Myrath. Interessante anche una seconda idea ritmica altrettanto esotica dal minuto 07:38 e un riff molto originale da 07:56 a 08:12. Ottimamente riuscito il successivo lungo solo di Petrucci, vario e ben articolato.

 

IN SINTESI

I LTE sono un magnifico equivoco. Nascono come side project di Portnoy, ma sin da subito si scopre essere una vera band, ricca di alchimia e personalità. Nascono col desiderio di comporre in piena libertà ed assenza di struttura, ma i risultati migliori e più credibili li danno proprio ricorrendo ad ordine e millimetricità meditativa. Nascono come divertissement dei musicisti coinvolti, ma gran parte dei fan li prendono sul serio. E la lista potrebbe continuare ancora ed ancora. Prima chiariremo a noi stessi questo magnifico equivoco, prima saremo pronti ad apprezzare quello che i lavori della band hanno da offrire.

I primi due album avevano costruito il loro appeal su pochi ma solidi brani estremamente ben disegnati e pieni di idee fresche e trascinanti: Paradigm Shift, Kindred Spirits, Universal Mind, Acid Rain. Il punto di forza dei LTE era appunto quello di proporre, in tempi e contesti musicali molto distanti dagli odierni, preziose gemme progressive che costituivano una declinazione strumentale, seppur molto personale, dei Dream Theater.

In questo ultimo lavoro la band ha mancato proprio questo: un nucleo di almeno due o tre track emblematiche intorno a cui far ruotare come satelliti gli esperimenti sonori del resto dei brani, infarciti tanto di brillanti intuizioni, quanto più spesso di polimeri di banalità. Un album fatto bene (come tutto oggigiorno), ma non fatto al meglio, che manca di ciò che alimentava quel magnifico equivoco su cui vorrei continuare a credere per almeno altri 20 anni.

P.S. nella deluxe edition dell’album è contenuto un bonus cd con un’altra ora di musica targata LTE, divisa in 5 tracce dai minutaggi oltre i dieci minuti. Non si raggiungono le vette visionarie di “Three Minute Warning” ma non mancano comunque alcuni spunti interessanti. Consigliamo l’ascolto anche del bonus disk.

 

 

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