Recensione: Litanies from the Woods
Nella musica hard rock e heavy metal, probabilmente, è già stato scritto tutto. Le note sono sette e da tempo anche le armate barbariche del Metallo sono state sdoganate dall’intellighenzia della critica più altezzosa, quella che in passato aveva sentenziato che le sonorità dure avrebbero avuto breve durata: un fenomeno passeggero, come tanti, legati alla moda e a look del momento, insomma. L’HM invece ha dimostrato di essere durevole, sul campo – leggasi palco – prima, più che in altri ambiti, fornendo al panorama musicale del globo terraqueo artisti di classe purissima e sopraffina, oggi universalmente riconosciuti anche dagli scettici.
Tornando al concetto esposto in apertura della recensione, è ormai prassi imbattersi in “nuovi” gruppi che fanno del ripescaggio storico la propria missione, con il risultato di avere fra le mani la copia – nel migliore dei casi, altrimenti la copia della copia della copia, spesso sbiadita – di un grande gruppo del tempo che fu. Prodotti stantii, che fanno la differenza per la pienezza della produzione e nulla più e che vanno a intasare un mercato asfittico da decenni, ormai.
Capita di rado di stupirsi, o quantomeno emozionarsi come ai bei tempi durante l’ascolto di un disco delle recenti infornate. Nel caso di Litanies From The Woods è accaduto. Il debutto dei Witchwood, da parte della label Jolly Roger Records, possiede le qualità per rispolverare il passato dei Giganti dell’Hard senza risultare scontato. Alla base di tutto un songwriting ricercato, che fa dell’attenzione ai particolari l’arma in più del prodotto, figlio di un lavoro che evidentemente prende piede da lontano, da parte di Riccardo “Ricky” Dal Pane (Voce, chitarre, mandolino, percussioni), Andrea Palli (Batteria), Stefano “Steve” Olivi (Tastiere), Luca Celotti (Basso) e Samuele Tesori (Flauto e armonica).
Dieci i pezzi proposti, accompagnati da un libretto di dodici pagine con tutti i testi all’interno della versione Cd, alla quale si aggiunge quella in doppio vinile disponibile dallo scorso 26 ottobre. Già, il caro vecchio ellepì nero che fa tanto anni Settanta/Ottanta e che per i Witchwood calza davvero a pennello, visto il contenuto radicale di un disco capace di far riassaporare, con la necessaria deferenza ma allo stesso tempo con una personalità dalle radici remote, le magie di band quali Kansas, Jethro Tull, Deep Purple, Uriah Heep, Led Zeppelin, Pink Floyd, King Crimson ma anche primi Black Sabbath e Black Widow. Letta così parrebbe di trovarsi di fronte a un pot-pourri sconclusionato: ebbene, nulla di tutto questo, le influenze appena citate fanno da collante a una mescola 100% Witchwood, che ne valorizza le peculiarità.
Dopo Prelude irrompe l’urgenza britannica del trittico Liar/A Place for the Sun/The Golden King con la prima orientata ai Led Zeppelin, la seconda devota alla scuola Profondo Porpora e l’ultima ad appannaggio dei Black Sabbath. A livello personale i passaggi migliori del lavoro – che mai come in questo caso va considerato un tutt’uno – rispondono ai nomi di Farewell To The Ocean Boulevard, un’orgia strumentale di quindici minuti di puro distillato rock Prog di marca Seventies e The World Behind your Eyes, ballata dalle tinte fottutamente confederate ma l’orgasmo si raggiunge durate gli undici minuti di Shade of Grey, episodio straniante, permeato da quel fascino antico dal profumo di muffa generato dal lamento di una chitarra polverosa e implacabile proveniente dagli inferi.
Litanies From The Woods è prodotto accattivante, da scoprire pian piano, così come suggerisce la copertina curata da Brenda Bubani, in netta antitesi con la frenesia “brucia-tutto-subito” – che però poi “non-ti-resta-in-mano-niente” – dei giorni nostri. L’album è dedicato alla memoria di Francesco Di Giacomo, Tiziano “Billy” Benedetti e Mirko Troncossi.
Stefano “Steven Rich” Ricetti