Recensione: Litourgiya
Liturgia[li-tur-gì-a] s.f. – relig. Insieme delle cerimonie sacre e dei riti propri di un culto religioso, e il complesso di formule, preghiere, letture ecc. che vengono recitate durante le funzioni sacre: l. cattolica; l. pasquale.
Il black metal è intransigente, oltranzista, intollerante e sopra ogni aspetto indecifrabile; decine, centinaia, migliaia di idee possono essere applicate ad un genere tanto nichilista quanto aperto a sperimentazioni di ogni tipo. La classica ideologia dove Kvlt, Grim & Dark regnavano su di un piedistallo fatto di grezzume sonoro ed indecifrabili schiamazzi è ad oggi vana e senza presa nei confronti di un pubblico, sempre in cerca di novità e differenti visioni dell’odio. I Batushka (padrone e/o prete della chiesa in lingua slava) sono una nuova realtà che in pochissimo tempo è riuscita a fare breccia dentro i meandri dell’underground black, aprendosi un antro di luce infernale sopra l’accozzaglia che ci viene propinata quotidianamente da finti nuovo profeti in cerca di gloria. Cosa hanno di speciale questi polacchi dall’identità sconosciuta? Cosa li differenzia dagli altri così tanto che dopo un demo di una sola traccia sono riusciti ad entrare nella Witching Hour Production e diventare culto? Nulla di speciale superficialmente se non il fatto di avere creato dal nulla un album misantropo e satanico impostato su un livello concettuale di elevata caratura, giocando semplicemente sui contrari e gli avversi. Una nemesi in costante evoluzione sonora dove in molti credono che più si plastifica il credo del fuoco nero e più si è cattivi, i Batushka celebrano una liturgia in favore del culto caprino, tanto misericordiosa quanto pregna di morte e odio.
Sette canzoni denominate Ектения/Yekteniya (litania) che formano un grande e costante filo conduttore per tutti i quarantuno minuti di durata; una processione che parte dalla pulitura passando attraverso conoscenza, la grazia, la speranza, la verità, arrivando alla chiusura del cerchio con la salvezza. Canzoni che dialogano tra loro verso l’unico intento, la conoscenza suprema per sovvertire le barriere culturali e psicologiche imposte da dogmi ecclesiastici retrogradi. Satana quale unico fine, l’aspirazione alla sovrana apertura mentale, pura ed cristallina ideologia diabolica celata al mondo dalla luce.
Se l’ingresso nelle regione del sapere è fornito da una lenta parte ai limiti del doom atmosferico bastano pochi secondi all’ascoltatore per sentirsi travolto ed ammaliato dentro spire sulfuree che iniettano veleno dentro le vene sino al tracollo. Un rituale magico che profuma di incenso, un turibolo posto metaforicamente fronte a te, dentro una stanza buia, suggella il patto con l’estremo del vivere, morte per l’immortalità. Se la rasoiata iniziale lascia paradossalmente sguarnite le carte sul tavolo è già con il secondo passaggio Yekteniya: II che le atmosfere ed il parlato del “padrone” inseriscono elementi evocativi e semi-psichedelici: lo stacco a metà canzone è da pelle d’oca, uno dei punti più elevati dell’intero album. Tutto l’insieme è una costante sovrastruttura di sonorità audaci ed intransigenti, sino a quel fatidico terzo passaggio dove si rimane incatenati ad un decadente vortice di malvagità dove nulla diventa tutto e tu sei parte dello svanire del tempo. Un riff portante “assoluto” ci accompagna lungo Yekteniya: IV con gli stacchi terremotati di tipica scuola scandinava, confermando ascolto dopo ascolto, che si è d’innanzi ad un prodotto unico e indefinito; la combustione di molteplici influenze per donare vita ad un grande calderone dove l’Europa da nord a sud prende consistenza. Il male assume il volto della madonna sfigurata in copertina e gli angeli piangono a perdifiato. Più ci si lascia afferrare dalle spire del serpente più si scopre una realtà autoctona, figlia di studi e prove attraverso i tre membri del gruppo, non degli sprovveduti, non i primi sulla piazza; dei novellini senza ombra di dubbio non avrebbero mai avuto la caparbietà di creare certe finezze (Yekteniya: VI con il sui coro iniziale) riscontrabili solamente lungo un’ascolto dettagliato e meticoloso; analizzare le aperture atmosferiche pregne di simbolismo esoterico fornisce una chiave di lettura distante dai classici standard compositivi. A livello strutturale l’intero concept si districa attraverso alcune basi strumentali che possono apparire superficialmente identiche le une con le altre, quasi a voler riprendere i riff di una traccia per offrire un ciclo vitale e ideologico all’intero scorrere dell’album. Alla base del tutto c’è semplicemente una scelta chirurgica e certosina delle musiche da unire e concatenare per portare a compimento l’intera Liturgia; in fin dei conti anche le messe seguono dei canoni ben specifici e qui, come è possibile comprendere, non si da per scontato ogni minimo dettaglio.
Alcuni pensano che che dietro la maschera si nasconda Nergal dei Behemoth, creatore del concept in essere per andare contro l’estromissione dalla russia prima di un importante tour, come in molti sapranno. Altri sostengono la candidatura di Bart degli Hermh: essere di Bialystok non è facile, sopratutto quando si diventa immeritatamente famosi per essere la città con la percentuale più alta di ortodossi dell’intera Polonia. Poco importa a conti fatti chi si possa celare dietro la maschera, alla base dei Batushka c’è una chiara componente satanica, un abisso oscuro che inghiotte e porta a tradirsi costantemente lasciando morire le speranze più intime. La musica, quella è il nocciolo della questione, risulta sopraffina e al di sopra di ogni più rosea aspettativa contemporanea; il 2015 non ha smesso di riservarci sorprese attraverso Batushka, Mgla, Leviathan, Misþyrming e altisonanti piccole realtà che riescono a prendersi applausi scena aperta. Per gli amanti del genere, Litourgiya non può che essere inserito nella top ten annuale, il rituale è appena iniziata, ora spetta a voi portare avanti il percorso intrapreso attraverso le tenebre dei dogmi contemporanei.