Recensione: Live in Sao Paulo

Di Paolo Beretta - 8 Aprile 2003 - 0:00
Live in Sao Paulo
Band: Angra
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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89

Il terremoto di pochi anni fa in casa Angra che portò all’uscita dal gruppo brasiliano di tre membri storici quali Andrè Matos, Ricardo Confessori e Luis Mariutti (che ora hanno formato gli ottimi Shaman), mi aveva al suo tempo preoccupato moltissimo. Reputavo, in particolar modo, che sarebbe stato difficilissimo, quasi utopico, per i carioca trovare un singer capace raccogliere la pesantissima eredità lasciata da Matos, ma fortunatamente mi sbagliavo. Nel 2001 infatti l’uscita del quarto full lenght della formazione brasiliana (Rebirth) mostrò al mondo una band in salute capace di proporre ancora una volta un sound davvero magico; mix tra power metal veloce e melodico e delicate atmosfere prog. Hunters and Pray ( mini cd del 2002 di 46 minuti ) non fece che confermare il perfetto innesto dei nuovi membri che hanno dato nuova linfa e vigore agli Angra. Adesso è uscito “Live in Sào Paulo”, a commemorare la vera e propria “rinascita” della formazione di fronte al loro pubblico… …Pubblico in vero e proprio fermento fin dal lungo intro che fa da apripista alla velocissima Nova Era, che riesce con i suoi ritmi folli, break originali e assoli melodici al fulmicotone, ad esaltare come in versione studio. Intelligente e saggio Edu che scalda la sua voce senza esagerare (facendo cantare il pubblico nei punti più impegnativi), per non rischiare di compromettere il resto dello spettacolo. Segue un altro brano tratto dall’ultimo Rebirth. Acid Rain è una song molto potente e affascinante, oscura nelle strofe ben dettate da basso e batteria e più ariosa ( e incalzante ) nel chorus, perfetto per immediatezza. Il gran lavoro di tastiere e chitarre evoca atmosfere cupe e tenebrose e riesce a dare proprio l’idea di una pioggia a tratti impetuosa che si abbatte sull’ascoltatore. E’ tempo di rivangare il magico passato ed ecco giungere il capolavoro Angels cry. Una track strepitosa, originale e storica che Edu Falaschi riesce ad interpretare ottimamente senza far rimpiangere Andrè Matos. Eccezionali sfuriate veloci ed esaltanti si alternano in continuazione con riff pesanti e lenti che non lasciano scampo per 7 minuti di poesia. Con Heroes of sand si percorrono tempi più lenti. Dopo un minuto di gestazione caratterizzato da un favoloso arpeggio melodico la canzone si apre in un coro solare e meraviglioso (che giustamente viene ripetuto più volte). Metal Icarus è invece una cavalcata travolgente dotata, nella prima parte, di un ritmo elevatissimo. Basso e batteria infatti inizialmente volano supportando con maestria la convincente ugola di Edu che tuttavia per riprendere un po’ il fiato gioca con il pubblico. Granitico il lavoro di riffing confezionato dal duo Kiko Loureiro / Rafael Bittencourt che dà potenza e credibilità alla traccia. Emozionante il cantato nelle prime strofe di Edu in Millenium sun, pezzo capace di incantare con le sue sonorità tristi e melanconiche in totale contrapposizione con bridge e il coro da stadio fatto apposta per essere cantato a squarciagola. Make believe è una ballad molto riuscita e dolce con sonorità calde, accoglienti e leggere ben accompagnate dall’ottimo lavoro delle tastiere sapientemente usate da Laguna. Raro esempio di come sia possibile fare buoni lenti senza scadere nella banalità. Il primo cd si conclude con un lungo assolo dell’instancabile drummer Priester capace di esaltare il pubblico brasiliano con ritmi al limite dello speed metal. 5 minuti impressionanti, “polipeschi”, di tecnica pura che perfino io, nella mia grande ignoranza tecnica, ho saputo apprezzare. La seconda parte del live comincia con la stupenda traccia Unholy wars capace di evocare inizialmente tempi brasiliani per poi animarsi diventando trascinante; una cascata, un fiume di note che sfociano in un chorus maestoso per poi percorrere sonorità più sperimentali e lente (decisamente prog) dotate di assoli raffinati e cori che mi hanno lasciato senza fiato. Incredibile la maestria ed il coraggio della band brasiliana capace di riprodurre in sede Live, senza rovinare, un brano così complesso. Si rallenta con Rebirth lento di qualità superiore che ancora una volta riesce a dare vita ad atmosfere delicate, superbe di una bellezza “pericolosa”. Ogni volta che ascolto il coro “I ride the winds of a brand new day…“ un lungo brivido scorre dietro la mia schiena. La prova di Falaschi infatti è senza mezzi termini perfetta: Grandioso singer! Si prosegue con la celeberrima Time pezzo che dopo un fantastico intro esplode travolgendo ogni cosa con strofe ben cadenzate, (così come il cantato) orchestrazioni (tastiera) perfette e riff che convincono e si imprimono a fuoco nella mente degli ascoltatori secondo dopo secondo. Eccezionale il break che vede le chitarre gemelle impegnate in una serie di assoli veloci che creano melodie sopraffine. Running alone vola via senza guardarsi mai indietro. Sostenuta la sezione ritmica ben domata dal solito Edu (davvero eccezionale) e fantastico l’onnipresente scontro tra il potente sound del riffing e l’impercettibile quanto costante lavoro di tastiera a tratti esaltante come il break centrale che rende la track in questione davvero notevole. Crossing è un veloce (2 minuti) pezzo strumentale dotato di un coro da Chiesa che introduce Nothing to say canzone molto Heavy che vede come protagoniste assolute le chitarre di Kiko e Rafael impegnate a erigere un solido muro metallico davvero imponente nel break centrale. Ritmi assassini non lasciano Falasci mai in “pace” sempre impegnato in strofe difficili; ostacoli che vengono magistralmente superati. A Unfinished allegro il compito di lanciare nel vero senso della parola Carry on. Song perfetta sotto ogni punto di vista essendo allo stesso tempo veloce e melodica. Come non citare il coro storico che a 9 anni di distanza incanta ancora come la prima volta che ho avuto il piacere di ascoltarlo. Solos guitar taglienti e tempi incalzanti dettati dal basso penetrante di Andreoli completano una traccia che a mio modesto parere rasenta la perfezione sotto tutti i punti di vista. Avevo sentito tempo fa che nel 1993 quando Bruce Dickinson lasciò gli Iron Maiden i due nomi più gettonati per sostituirlo erano Michael Kiske e Edu Falaschi. Non so se sia vero ma The number of the beast , che chiude Live in Sào Paulo, interpretata dal singer carioca non mi è affatto dispiaciuta! Disco eccezionale, un Live che testimonia lo strepitoso stato di forma di una band storica che nonostante abbia rivoluzionato la sua line up è riuscita a restare al top del Power Metal mondiale. L’acquisto di questo album è a mio modesto parere d’obbligo per tutti. Musica di qualità totale; 100 minuti capaci di regalare a noi fan emozioni forti e pure.

Tracklist:

Cd.1

1. In Excelsis
2. Nova Era
3. Acid Rain
4. Angels Cry
5. Heroes Of Sand
6. Metal Icarus
7. Millenium Sun
8. Make Believe
9. Drum Solo

Cd 2.

1. Unholy Wars
2. Rebirth
3. Time
4. Running Alone
5. Crossing
6. Nothing To Say
7. Unfinished Allegro
8. Carry On
9. The Number Of The Beast

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