Recensione: Live January 1973
Pubblicato, come dice stesso il titolo stesso, nei primissimi del 1973, “Live January 1973” è l’ennesima prestazione dal vivo, commovente, testimoniante della bontà e del livello qualitativo sul palco dei gruppi del magico decennio dei Seventies, in questo preciso caso rappresentati dai sempre sottovalutati ma geniali Uriah Heep. Uscito originariamente come doppio disco sotto la Bronze Records e rimasterizzato, nel 1990, dalla Castle Communications, questo eccelso prodotto racchiude le migliori prestazioni del tour inglese intrapreso dal combo nei primi mesi del ’73, tour a supporto all’album in studio, “The Magician Birthday” e a cavallo fra quest’ultimo e il successivo (sempre del 1973) “Sweet Freedom“. La lineup è, se così vogliamo chiamarla (visto i numerosi cambi, diciamo che questa è quella che a me piace di più), quella storica, ovvero quella composta dal vocalist David Byron, dal chitarrista Mick Box, dal tastierista Ken Hensley, da Gary Thain al basso e da Lee Kerslake dietro le pelli. Forti di non molta popolarità (all’epoca) ma di diversi album che oggi se non sono visti tutti come capolavori poco ci manca (nell’ordine “Very’Eavy…Very’Umble”, “Salisbury“, “Look at Yourself “, “Demons and Wizards” e il già citato “The Magician Birthday”), i 5 si presentano dunque alle varie tappe del tour (direi soprattutto a Birmingham, città più volte citata nel disco) in forma splendida, e lo dimostrano appieno lungo le 12 tracce che compongono il live. La scaletta è discretamente eterogenea, e pesca in maniera piuttosto uniforme da tutti i dischi in studio, con ovvia preferenza verso il prodotto da pubblicizzare, ma saltando, incredibilmente, tutti i pezzi di Salisbury, che se presi avrebbero secondo me reso ancora più inattaccabile un lavoro già eccellente. Quindi tracklist parzialmente “mutilata” (scommetto che nessuno avrebbe detto di no alle varie “Lady in Black”, “Bird of Prey” eccetera) ma che si difende comunque alla grande e che comprende anche, nel finale, un gran bel medley di pezzi storici del Rock’n’Roll, l’ideale per scuotere un ambiente già elettrizzato. L’esecuzione della “sporca dozzina” (18 le song se vogliamo includere tutti le singole porzioni del medley) è semplicemente magistrale, esecuzione che esalta la splendida forma già prima accennata. Il sound è quello classico, che oserei dire sacrale, e perfettamente affiatato fra tutti e 5 i membri, che non si limitano a fare delle riproduzioni fedeli allo studio ma, se, possono, ampliano i brani mostrando una buona originalità e capacità d’improvvisazione. Del quintetto mi permetto di mettere sugli scudi un Byron mai fuori tempo, perfetto (e perfettamente supportato dalle voci di fondo), e un Gary Thain che, con l’onnipresente e magico (veramente magico, probabilmente il mio tastierista preferito) Ken Hensley, fa decollare il prodotto finale nella sua prima parte (che ha le sue massime punte in “Sweet Lorraine”, “Circle of Hands” e nella strabordante e strappalacrime versione di “July Morning”). Prima parte che vede forse un po’ esclusi Box e Kerslake (ma attenti alla bestemmia!, parlo solo di alcuni tratti visto che in song come “Tears in My eyes” dominano), i quali però compensano appieno nella porzione finale, ove diventano devastanti dirigendo alla perfezionè le varie “Hound Dog”, “Roll Over Beethoven”, eccetera. Come sempre (oddio come sempre, come sempre nei grandi live anni settanta!), visti i nomi in gioco e soprattutto visto il cuore, il modo e la passione che ci mettono questi nomi nel suonare, non può non sprigionarsi un grande feeling con il pubblico, che, nonostante la diffidenza di quegli anni, recepisce in maniera più che calorosa gli Heep, Heep che a loro volta replicano non solo con la musica ma anche con vari intrattenimenti vocali, aumentando a dismisura il calore che già il disco aveva di sè. A me è proprio questo che infatti piace nei live albums (che a mio modo di vedere, se fatti bene, sono superiori a qualunque lavoro in studio), il calore e l’impatto del pubblico, e qui non ho assolutamente nulla di cui lamentarmi. Ripeto, l’unica pecca di questo disco è l’esiguo numero di tracce presenti, perché se questo non danneggia assolutamente la lunghezza del live (circa 80 minuti), sicuramente priva gli ascoltatori di ulteriori emozioni, emozioni che non possono non mancare quando c’è in gioco la sacralità, il carisma e la forza degli Uriah Heep, band che manda ogni amante del rock che si rispetti su un’altra dimensione.
Riccardo “Abbadon” Mezzera
Tracklist :
1) Sunrise
2) Sweet Lorraine
3) Traveller in Time
4) Easy Livin’
5) July Morning
6) Tears in My Eyes
7) Gypsy
8) Circle of Hands
9) Look at Yourself
10) Magician’s Birthday
11) Love Machine
12) Rock’n’Roll Medley (“Roll over Beethoven”, “Blue suede Shoes”, “Mean Woman Blues”, “Hound Dog”, “At The Hop”, “Whole lotta Shakin’ goin’ on”, Blue suede Shoes”)