Recensione: Living Like a Runaway
Dopo il ritorno sulle scene che l’ha vista protagonista anche al Gods Of Metal di Monza del 2009, la bionda platinata Lita Ford dà un seguito al pessimo Wicked Wonderland dello stesso anno con il nuovissimo Living Like a Runaway, disco che già dal titolo lascia presagire un ritorno al passato, dopo il fiasco del predecessore, a suo agio nelle sonorità moderniste tanto quanto un pesce fuor d’acqua.
Andare a scomodare l’all female band Runaways che fece parlare di sé per un lustro all’incirca dalla metà degli anni Settanta in poi e che la vide protagonista è operazione coraggiosa, senza dubbio, e costituisce probabilmente la prova d’appello per la cantante/chitarrista nata nel 1958. Già, perché se i die hard fan le hanno perdonato lo scivolone discografico di tre anni fa altrettanta benevola sorte probabilmente non si potrebbe attendere per quest’ultimo parto, in caso di ko.
Evidentemente le docce fredde hanno sortito gli effetti sperati in casa Ford e in effetti Living Like a Runaway contiene al proprio interno un numero sufficiente di ammiccamenti al periodo aureo dei tardi anni Ottanta, quelli di Lita e Stiletto, ove la Nostra era a tutti gli effetti considerata un sex symbol assoluto della musica dura, grazie a un fisico da urlo e a frequentazioni di letto del calibro di Tony Iommi dei Black Sabbath, Chris Holmes degli WASP e Nikki Sixx dei Motley Crue, tanto per citarne solo tre.
Bellissima e statuaria, si è calata appieno nei panni della metal queen in nylon e stivaloni di pelle senza farsi mai mancare quella sana dose di tamarraggine kitsch indispensabile per poter attraversare anche i cuori dei duri e puri. Oddio, anche oggi, in pieni anta – peraltro portati assai dignitosamente – la bionda Lita Rossana Ford non rinuncia a qualche pugno negli occhi in termini di look, come ben dimostrato dalle foto contenute nel booklet di Living Like a Runaway, ove il particolare leopardato non manca mai.
In termini musicali ci siamo solo in parte. Se Branded si avvale di chitarre al passo con i tempi e un discreto bridge, l’orecchiabile Hate potrebbe essere stata scritta recentemente dalla versione sgrezzata delle Girlschool mentre The Mask si perde per strada da sola. Fortunatamente, a risollevare l’asticella del disco, arriva la title track, a tutti gli effetti un salto nel passato patinato tutto lustrini, paillettes, minigonne e tacco 12, dove se si chiudono gli occhi si può ancora immaginare la trentenne Lita ancheggiare alla grande e riempire il video con le su forme sinuose. Relentless entra in testa senza stupire segnando un’occasione sprecata, Mother è il lentone intimista di turno scritto da Lita in versione mamma dal testo struggente e dai risultati alle casse apprezzabili.
Per chi si fosse scordato che la Nostra collaborò con Ozzy Osbourne nel 1988 in occasione di Close My Eyes Forever ecco servita Devil In My Head, praticamente come un estratto con il cantato al femminile da un album solista del Madman. Altra buona occasione buttata parzialmente alle ortiche nella carina Asylum per poi arrivare al pezzo con il miglior hook di tutto l’album – ma solo quello – con Love 2 Hate U. Chiude A Song To Slit Your Wrists By che, nonostante il contributo di dell’ex di turno, per l’occasione Nikki Sixx, pare un brano composto da Alice Cooper appositamente su misura per la bionda Lita.
In definitiva Miss Ford, con l’ausilio del produttore Gary Hoey, riesce a scrollarsi di dosso il fallimento legato a Wicked Wonderland confezionando un lavoro sufficientemente piacevole, nonostante qualche scivolone di troppo nel songwriting. Le ballad e affini targate 2012 risultano meno carezzevoli di un tempo, forse per compiacere a un certo tipo di suono che non sappia di stantio imposto dal Palazzo. Fare bene quello che si sa fare da sempre non è impresa né semplice né scontata né facile da far passare – si vedano gli Scorpions di Sting In The Tail -, soprattutto nel momento in cui si invoca la cosiddetta sperimentazione, che in certi casi in ambito Hard’N’HM è un modo elegante per dire che il disco è venuto male, se non malissimo.
In definitiva Living Like a Runaway non è un lavoro da buttare, solamente non regge il confronto con il passato luccicante della bionda per sempre Lita Ford, sogno erotico di più d’un metallaro con i brufoli di qualche decennio fa. L’importante è comunque aver imboccato di nuovo la retta via dell’hard rock.
Stefano “Steven Rich” Ricetti
Tracklist:
01. Branded
02. Hate
03. The Mask
04. Living Like A Runaway
05. Relentless
06. Mother
07. Devil In My Head
08. Asylum
09. Love 2 Hate U
10. A Song To Slit Your Wrists By
Line-up:
Lita Ford – vocals, guitar and keyboards
Gary Hoey – guitar, bass, keyboards and background vocals
Matt Scurfield – drums