Recensione: Living Mirrors
Da alcuni anni a questa parte la Polonia non sforna più solamente ottimi gruppi di death o black metal. Il metal rimane, ma si assiste ad un proliferare di nuove interessantissime band in tutti i campi della musica pesante, ennesima testimonianza del fatto che i polacchi siano gli unici nell’ex patto di Varsavia ad aver assimilato gli stilemi musicali occidentali fino ad emanciparsene. Sono così germinate proposte valide che sempre più spesso riescono ad imporsi anche sul panorama internazionale. Gli ultimi di questa catena potrebbero essere i Riverside che pure, con la definitiva consacrazione di Anno domini high definition, hanno portato alla luce una scena prog brulicante di vitalità.
Ora potrebbe essere la volta della band che, ai Riverside ,ha fatto da spalla proprio durante il tour del menzionato platter: i Disperse. Una band giovane, fondata appena cinque anni fa e giunta oggi alla seconda prova di studio. La prima, Journey through the hidden gardens, aveva suscitato diverse buone impressioni, mettendo in mostra la coppia trainante composta dall’estrosa voce voce di di Rafa? Biernacki e dalla pirotecnica chitarra di Jakub ?ytecki, un’ora e un quarto sospesa tra Cynic, Dream Theater e Devin Townsend.
Ed ora, al momento di ripetere quanto di buono mostrato, i nostri cambiano strada in maniera decisa e radicale con questo Living mirrors. Un disco decisamente più semplice, purtuttavia anche molto più disciplinato. O almeno in apparenza. Ciò che dava vita e forma al debut album dei disperse era infatti l’incredibile vivacità della chiarra di ?ytecki, che quasi brillava di luce propria. In questo secondo capitolo il ruolo del talentuoso chitarrista sembra essere ridimensionato, vale a dire che il suo strumento non è posto in assoluta rilevanza su tutto il resto. Purtuttavia, la prova del nostro rimane ancora da applausi, forse ancora più matura, tanto è capace di svariare da David Gilmour a John Petrucci senza il minimo problema (si veda la straordinaria Unbroken Shiver).
Con lui cresce anche il resto del gruppo, sempre più duttile. Cresce Biernacki, alla voce, cresce pure la sezione ritmica, perfettamente a suo agio nel passare dal prog metal più pesante a brani di grande atmosfera come Touching the golden cloud o l’interludio Be afraid of nothing. Ma la grande crescita dei Disperse riguarda anche il songwriting, solido e compatto in quasi tutti gli episodi. Cynic, Dream theater, Pink floyd e gli immancabili Riverside sono ancora li, eppure la strutturazione relativamente più semplice delle song porta i nostri vicini a band come Sylvian (Choices over me) o addirittura i nostri Klimt 1918 (si veda la prima metà di Butoh).
Ed è così che nascono gli autentici capolavori dell’album, vale a dire l’inarrestabile crescendo della opener, la strumentale Dancing with endless love, e soprattutto la straordinaria Message from Atlantis. Ed è così che un disco di 59 minuti scorre via come se durasse venti.
Tutto perfetto? Bé quasi, dacché i nostri si macchiano qua e là di una venale prolissità (i primi due interludi o la seconda parte di Butoh avrebbero potuto essere evitati), ma sono errori che si possono perdonare. La sensazione infatti è quella di essere davanti alla nascita di un altro ottimo gruppo, che potrà affiancare Riverside o Beardfish tra i nomi del progressive di questo nuovo millennio.
Tiziano “Vlkodlak” Marasco
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