Recensione: Lo Sgabello del Rospo

Di Paolo Rossi - 11 Novembre 2004 - 0:00
Lo Sgabello del Rospo
Band: Fiaba
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 2001
Nazione:
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86

Parecchio tempo fa -e me ne scuso- un caro amico mi passa questo dischetto
chiedendomi di fargli sapere cosa me ne pare.
Confesso che non mi é stato facile analizzare questo disco in quanto esce
parecchio dagli schemi; assembla diversi stili molto differenti tra loro e
ne fa una propria interpretazione che a primo ascolto lascia
abbastanza spiazzati.
Ma siccome tra i miei mille difetti non c’é il pregiudizio o la chiusura
mentale (e tanto meno mi interessa se i musicisti in questione hanno
frequentato o meno il Conservatorio – vedi “analfabeti” quali Allan
Holdsworth, etc.), dal secondo ascolto sono riuscito a calarmi nel disco ed
apprezzarne le numerose qualità.

Gli stili miscelati di cui dicevo sono il rock progressivo tradizionale
italiano degli anni ’70 e il prog-metal USA della prima metà degli anni ’80.
In particolare la voce, vuoi per i testi in italiano, vuoi per quella
liricità di cui Alberto Piras (Deus Ex-Machina) é il nostro più prestigioso
alfiere, ci fa riassaporare quelle atmosfere che quasi morirono con Demetrio
Stratos.
Chitarre e batteria invece potrebbero onorevolmente collocarsi nel
prog-metal americano che molto si presta a divagazioni epic e rock.
Anche la scelta delle progressioni armoniche e l’utilizzo degli accordi é
fortemente ita-prog-’70, ma ad ogni dove spunta l’arpeggio alla De Garmo o
la ritmica di batteria tipicamente USA ’80.
Ma siccome le sorprese non finiscono qui, durante l’ascolto si scoprono dei
preziosi passaggi “etnici” con tanto di rivisitazione di sonorità
mediterranee tipo Taranta e affini.
Come i Fiaba siano riusciti a coniugare questi elementi in teoria antitetici
lo sanno solo loro, quello che conta é che il risultato finale sia di ottima
qualità.

Mantenendo fede al proprio nome i Fiaba raccontano una storia, la storia di
un “viandante” che addentratosi in un bosco consuma un fungo allucinogeno
che lo porta a visioni e atti di svariato tipo.
Senza approfondire la narrazione della storia -già ben rappresentata nel
lavoro stesso- una nota di lode é dovuta alla stesura del “concept”, ai suoi
risvolti letterari, poetici, a tratti politici, e soprattutto all’efficace
utilizzo della lingua italiana in un ambito musicale non facile. L’utilizzo
linguistico richiama alla lontana il miglior Branduardi, che come
menestrello é sicuramente un maestro.
I testi delle canzoni sono quindi dialoghi tra i protagonisti e i vari
“prestatori d’opera” offrono un’ottima performance sia come esecuzione che
come interpretazione.
E’ naturale che in un siffatto lavoro maggiore cura sia stata prestata alla
voce, che infatti si presenta bella “davanti” mettendo in mostra la
pregevole intonazione, interpretazione, la dovuta mascolinità e quella
liricità sopra citata che (anche se proprio non rientra nei miei gusti)
assume un ruolo assolutamente primario e lo svolge con dovizia.
Belle anche le seconde voci sui cori che non propongono mai la ritrita
formula 3a-5a ma poggiano su armonizzazioni ben più ricercate e di difficile
esecuzione (molto alla lontana un po’ alla Queen delle sperimentazioni
polifoniche vocali, gli Yes del medio periodo).
Gli strumenti se la cavano egregiamente in tutte le varie e numerosissime
situazioni, le parti di ogni strumento sono concepite con oculatezza ed
efficacia pur non essendo di funambolico livello tecnico. Mancano delle
parti soliste di spessore che invece arricchirebbero parecchio il lavoro ma
questo é anche spiegabile con la funzione che la parte strumentale svolge al
servizio della storia e delle linee vocali.
Belle le divisioni ritmiche e i pattern di basso e batteria su cui le
chitarre possono poggiare spaziando in territori ritmico-armonici che
conferiscono ai brani quella profondità tipica del rock progressivo.
Belli anche arrangiamenti e “varianti” che dimostrano una consolidata
maturità compositiva.
La produzione (intesa come concezione dell’utilizzo e del posizionamento
degli strumenti in tutte le parti che compongono il disco) é ben congegnata
e si manifesta ulteriormente nei periodi “etnici” di cui sopra.
Per contro, i suoni non sono all’altezza del disco e non rendono la giusta
veste sonora ad un lavoro che avrebbe potuto fare un salto in avanti
incrementando il livello qualitativo dell’insieme e di ogni strumento.
A ciò fa eccezione la voce/le voci che -contrariamente alla maggior parte
delle attuali produzioni italiche- sono state curate con perizia e perciò
evidenziano un sensibile “stacco” dagli strumenti.

Il disco va ascoltato come un solo brano con la narrazione di una storia che
vive di vita propria.
Non mi sento pertanto di cimentarmi nella descrizione di ogni singolo brano
perché sarebbe come “spezzettare” una rappresentazione teatrale – perché di
tale si tratta.
Il lavoro é infatti diviso in “scene” come atti di una commedia, o di
un’opera, in cui l’alternanza delle situazioni musicali seguono lo sviluppo
della vicenda. Pertanto troviamo parti mid-tempo, lente, frazionate,
puramente descrittive, d’ambientazione, oscure, luminose e via dicendo. Il
tutto, sempre condito dalla richiesta teatralità e da una dose di follia che
fa pensare che il fungo se lo siano mangiato loro anziché il suddetto
“viandante”.

La grafica é abbastanza scarna, a pari costo avrebbe potuto essere curata
molto di più con un risultato che avrebbe fatto fare un salto in avanti al
disco (vedi simile appunto riferito ai suoni). A parte l’immagine di
copertina, tutto il resto evidenzia una certa fretta nella realizzazione che
al contrario avrebbe presentato l’opera come tale e non semplicemente come
“un disco di un gruppo italiano”.
Benché valga il concetto secondo cui il contenuto ha un valore che trascende
l’involucro e ciò che lo circonda, questo gruppo dal grande talento potrebbe
completare il proprio profilo artistico attribuendo ai “dettagli”
l’importanza che, a mio modesto avviso, li potrebbe portare ad un livello di
diffusione ben più elevato.
Menata finale: l’interminabile ghost-track che reca alla conclusione della
vicenda – da evitare.

Come indicato sul CD, il prodotto é distribuito da Audioglobe, pertanto
dovrebbe essere reperibile nei principali punti vendita e tramite i noti
mail-orders.
Personalmente ne consiglio vivamente l’acquisto a chiunque cerchi nella
musica qualcosa di diverso e di qualitativamente valido sia dal punto di
vista musicale che intellettuale, pertanto ne sconsiglio l’avvicinamento a
chi ascolta roba tipo Sonata Arctica e capelloni biondi scandinavi di tale
fatta.
Supportiamo i gruppi italiani di qualsiasi genere musicale che propongono
lavori validi e di qualità, lo meritano, e i Fiaba sono tra questi.

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