Recensione: Lonely People with Power

Sono diverse le correnti di pensiero che orbitano attorno alla carriera dei Deafheaven: c’è chi li considera come una filiale dell’Eridania, chi non li considera nemmeno black metal, chi li vede come un prodotto per hipster e c’è anche chi pensa che esista il metal prima e dopo Sunbather. Cosa succede, poi, se a una band fortemente divisiva si allineano i pianeti al quindicesimo anno di carriera? Lonely People with Power è la risposta. La band di San Francisco viene affiancata, per questo nuovo lavoro, da una certa Roadrunner Records, che centra perfettamente il bersaglio e può già pregustare una lunga serie di ristampe.
Il sesto album dei Deafheaven è un’opera difficile da assimilare quanto da descrivere: ci vogliono tempo, dedizione e serve fermare la bulimica vita moderna in favore di qualcosa che ha bisogno di essere assaporato con calma. Si deve arrivare a casa, spegnere le luci, premere play ed entrare in quello che è un mondo a sé stante con tutte le sue leggi e i suoi microcosmi. La tracklist supera di poco l’ora ed è ripartita in dodici tracce con tre intermezzi chiamati Incidental.
Quello che si sprigiona dalle casse ad ogni passaggio è una band in completo e totale stato di grazia. Lonely People with Power è artisticamente un lavoro mostruoso e con una maturità che sarà difficile da bissare in futuro. Le composizioni sono lunghe, stratificate, varie e arrangiate in maniera sopraffina; su tutto spicca poi lo scream lacerante di George Clarke, ormai un vero e proprio marchio di fabbrica in casa Deafheaven.
Dimenticatevi quindi la granita infinita, qui le clean vocals sono presenti solo in momenti sporadici, predisponete la mente al ritorno di certe sonorità, però più elaborate e di più ampio respiro e tuffatevi in questo meraviglioso viaggio.
Dopo il primo, breve Incidental, Doberman e Magnolia picchiano come delle ossesse inchiodando l’ascoltatore al muro e offrendo il lato più violento e brutale dei Deafheaven. Forse in questo frangente la produzione risulta fin troppo cristallina ma sono dettagli. L’assalto frontale riesce e prepara il terreno a The Garden Route, dove cambiano completamente le carte in tavola. La batteria rallenta, le chitarre coccolano e ci si assesta su lidi post rock, con però lo screaming di George che tiene il timone in maniera implacabile. Brano strutturalmente semplice ma altrettanto efficace. Heathen cambia ancora faccia servendo un groove assassino e una piccola trama vocale in clean; bellissimo e di ampio respiro il ritornello. La ripresa della strofa ha una linea vocale sempre clean ma più catacombale, quasi recitata, ed è di grande effetto come la fase finale del brano dove tutto esplode e chiude magnificamente il cerchio. Amethyst è il brano più lungo e impegnativo del lotto, supera di poco gli otto minuti e mantiene comunque altissimo il livello. La fase iniziale è lenta, parlata e d’atmosfera; poi il tutto si apre e strutturalmente ricorda nella prima parte la precedente The Garden Route. Arrivano poi i blast beat a smentire il tutto e a portare al parossismo la seconda, ferocissima parte del brano.
Il secondo Incidental ha come ospite Jae Matthews dei Boy Harsher ed è in pratica un brano drone con voce femminile; uno dei momenti altissimi dell’opera, va a spezzare il disco e a creare la giusta tensione per quello che verrà dopo. Quando tutto sembra per esplodere si spegne ma solo per poco; la botta poi arriva imprevedibile, una bordata sonora che letteralmente sposta l’ascoltatore passando poi la palla a Revelator. Si torna alla lamiera pura e a un assalto frontale famelico e sanguinario: blast beat come se piovessero, riff e groove assassini e George al microfono che demolisce qualsiasi cosa. Si frena solo attorno ai tre minuti con un buon ponte poi si blocca tutto ed entra in scena una chitarra solitaria, quasi timida e spaesata, che fa da ponte verso il finale devastante. Body Behavior torna al post rock ed è un altro brano incredibile: in un minuto cambia genere musicale almeno tre volte e si può solo applaudire; il ponte poi ha una grazia e una leggerezza da manuale, poi entra la doppia cassa e il blast beat fa tabula rasa, mettendo in saccoccia un altro momento clamoroso.
Il terzo e ultimo Incidental ospita Paul Banks degli Interpol e, diversamente dall’intermezzo precedente, qui ci si limita a una breve parte narrata propedeutica al gran finale e poco più. Winona ha una fase iniziale ambient sorretta dal charleston; l’entrata delle chitarre poi è epica, magniloquente e crea un tessuto sonoro impressionante. L’intensità cala per un secondo poi si blasta come se non ci fosse un domani e mantiene coordinate feroci fino alla fase finale, che spunta inaspettata come una carezza da qualcuno che hai sempre odiato. The Marvelous Orange Tree chiude questo lungo viaggio rivelandosi l’inevitabile lentaccio, a questo punto necessario e quasi liberatorio. Tornano a fare capolino le clean vocals e ci si congeda con l’amarezza che si prova alla fine dei bei momenti, con l’unica differenza che qui si può premere play all’infinito per poterli rivivere.
Cosa succede ora? Volenti o nolenti, le correnti di pensiero cambiano direzione. La filiale dell’Eridania diventa un’eccellenza, il black metal c’è ed è anche feroce, gli hippy abdicano e la questione Sunbather sarà ridiscussa, perchè un nuovo filone teorico metterà quest’opera al primo posto assoluto. Lonely People with Power è un disco inattaccabile e un trionfo totale delle derive post a 360 gradi, inarrivabile. Se ne parlerà, giustamente, per un bel po’ e da queste idee passeranno discografie intere. Si può dire di tutto sui Deafheaven ma non stavolta e non davanti a un lavoro del genere, che ha probabilità molto alte di essere il miglior disco del 2025 e non solo. Complimenti.