Recensione: Lonesome Crow
Nel 1972, una band destinata a diventare parte della storia del Rock esordiva sul mercato, dopo sette anni di prove generali e vari ritocchi. Lonesome Crow è quindi l’esordio sulle scene (ancora nazionali al tempo) dei teutonici Scorpions, che da lì a qualche anno avrebbero scalato tutti i gradini del successo, fino ad arrivare al massimo livello consentito. Ma non guardiamo oltre e torniamo al 1972. Già decisisi di essere un quintetto, i membri della formazione “originale” erano piuttosto differenti dalla line-up che più avanti sarebbe stata definita storica. Infatti i membri di tale line-up erano solo il chitarrista ritmico, nonché fondatore della band, Rudolf Shenker, e il vocalist Klaus Meine. A questo duo si aggiungevano il bassista Lothar Heimberg, il batterista Wolfgang Dziony e il secondo chitarrista, fratello minore di Rudolf e destinato anch‘egli a fare la storia (ma non in questi lidi), ovvero Michael Schenker. Il disco, a dire la verità, passa piuttosto in secondo piano nelle charts e anche al botteghino, dove riscuote vendite piuttosto modeste, però non è affatto male nel suo complesso. Sono sette tracks per una lunghezza complessiva di poco più di 40 minuti, tracks anche qui piuttosto diverse da quelle future. Si alternano infatti momenti pirotecnici (con Michael non ci si sarebbe potuto aspettare altro), qualche tratto melodico (che invece sarebbe stata la costante predominante del successivo “Fly to the Rainbow”) e momenti li libera ispirazione e follia, follia che ricorda molto, musicalmente, quella dei primi Led Zeppelin, ai quali la band si ispirava (visto il successo di questi ultimi). Chiaro, non siamo ancora allo stesso livello, comunque sicuramente più dignitoso di molti altri. I cinque si dimostrano anche dei buoni musicisti, soprattutto in sede di batteria e chitarra elettrica. Anche gli altri 3 (Meine, R. Shenker, Heimberg) non se la cavano male, però si vede che non sono ancora ai livelli che avrebbero raggiungo da lì a qualche anno, a suon di esercitazioni e prove. Da rimarcare invece l‘ispirazione e l‘organizzazione dei cinque, davvero impeccabile (tutti danno una mano, infatti tutte le musiche sono opera dei fratelli Shenker, mentre gli altri 3 si occupano scrupolosamente della sezione liriche).
L‘opener di Lonesome Crow è affidata a “I‘m goin Mad”, canzone virtuosa e di stampo estremamente attinente all‘hard rock inglese dei primi anni settanta, con però una ventata di durezza superiore. Subito in evidenza i pregevoli stacchi batteristici, che occupano una posizione di spicco nell‘intro e in generale nella prima parte. Ben udibili tutti gli strumenti, dal rapido basso, al riff lento e ben cadenzato passando per lo spendido uso della lead guitar e la voce carica e pregevole anche quando urlata. Più o meno simile come discorso la seconda “It all Depends”, che si differenzia per una maggiore velocità e per un roboante Heimberg sullo sfondo (il bassista in pratica svolge il lavoro di traino che aveva il drummer nell’operner). Tanti i tratti distorti, che conferiscono una carica pirotecnica aggiuntiva al pezzo, grandissimo Shenker junior a gestirli. Proseguiamo spediti con la terza “Leave Me”, semi-lenta aperta da una folata d‘aria e un uso ancora molto azzardato della lead guitar, che pare davvero futuristica. Si leva però poi una melodia decisamente ben pensata (forse però un po’ troppo lunga), con un andamento e una sonorità generale che potrebbe finire (soprattutto direi il coro) come apertura per un film western. Tutto ciò prosegue fino ad un cambio di tempo che porta la canzone ad essere funambolica e decisamente più hard (nell‘ultimo minuto). Da segnalare anche e soprattutto la prima vera grande prova di Meine dietro al microfono. Benchè si senta che non sia ancora lui, riesce a dare comunque delle gran belle emozioni. Quarta song è probabilmente la migliore del disco, e sicuramente quella più riutilizzata dalla band nelle sue prime esibizioni live. Si tratta della lenta e ispirata “In search of the Peace of Mind”. L‘inizio è molto melodica e fa da effetto “sipario”, per musiche e coretti. Il sipario si apre dunque su un piacevolissimo arpeggio, accompagnato da un altrettanto buon basso sullo sfondo. Anche qui un cambio di tempo, concretizzato in una folata di vento, che porta a una frazione ancora più lenta, ma malinconica ed inquientante, totalmente differente da quella di prima. Gran track nel complesso, e sugli scudi un ancora buonissimo Klaus, sempre intonato anche nei tratti più difficili a livello di fiato. Più corte e lineare di “In search…” è “Inheritance”, altro componimento prima lento e velocizzato in alcuni tratti. Questo lento non è però affatto dolce bensì ma piuttosto minaccioso, carico anch‘esso di malinconia e oscuro. C‘è comunque spazio per un grande chitarra elettrica, capace di ravvivare (anche se a volte la incupisce ancora di più) un‘atmosfera di quattro minuti e mezzo quasi surreale. Mantenendo fede al suo nome, “Action” è quasi certamente la track più ritmata e spensierata di tutto il disco. E‘ vero è piuttosto lineare, e forse anche noiosa nella sua ripetitività, è cmq un pezzo molto curioso, che mescola anche dei tratti quasi “boogie” inframezzati da notevoli schitarrate. Buono il riff di basso, non complicatissimo ma di grande effetto. La scena si chiude con la tiletrack, 13 minuti e mezzo all‘interno dei quali abbiamo veramente di tutto, dalla suspance (davvero grande nell‘introduzione ad effetto), all‘introspezione. Si aspetti a dire che questa traccia è un macigno, è vero che in partenza può essere presa male per un ascoltore dinamico, consiglio tuttavia di ascoltare perché si passa anche da rapide sfuriate della 6 corde (da segnalare l‘ottimo riff creato da Shenker senior), da funambolismi come l‘assolo della elettrica lungo qualche minuto (si parte circa al terzo per arrivare quasi al quinto e mezzo), da distorsioni incredibili ed effetti sonori che tutto hanno tranne che del consueto, effetti che tra l‘altro portano ad un tratto allegro dove domina il basso, e tante altre cose ancora. Una titletrack quindi decisamente non convenzionale, così come non lo è tutto questo disco, sicuramente non il più rappresentativo del combo tedesco, ma pur sempre il primo. Dico tranquillamente che a tanti potrebbe non piacere, mentre per altri potrebbe essere tra i migliori mai partoriti dai tedeschi (soprattutto per chi ama l‘hard rock dei primissimi 70 e della fine dei 60). Da qui in avanti si sarebbero susseguiti diversi stili, questo è solo il primo, quello sicuramente più legato all‘hard rock come i padri fondatori l‘avevano creato.
Riccardo “Abbadon” Mezzera
Tracklist :
1) I‘m goin Mad
2) It All depends
3) Leave Me
4) In search of the Peace of Mind
5) Inheritance
6) Action
7) Lonesome Crow