Recensione: Look At You
Look At You è il nuovo studio album per i The Flower Kings 3.0. Questa volta nessun tastierista fisso, confermato invece Mirko Demaio alla batteria e Michael Stolt al basso. A stupire inoltre è una scaletta con pezzi stranamente corti per il combo di Uppsala, dai tempi di Space Revolver non accadeva.
L’avvio del disco è affidato alla frizzante “Beginner’s Eyes”, che ripropone il binomio bucolico-circense che caratterizza il sound dei TFK. Si punta dunque sul lato più solare e divertito del prog. rock come viatico. All’inizio di “The Dream” ritroviamo i sintetizzatori dei primi dischi della band. L’effetto nostalgia è dietro l’angolo e la voce di Roine Stolt con la sua classe inconfondibile strappa un brivido ai fan di lungo corso. Strano trovare una ballad in questa posizione nella scaletta, ma si tratta di un pezzo di qualità che permette anche a Hasse Froberg di ricamare note alte.
Convince meno la successiva “Hollow Man”, pezzo più malinconico e falotico, con Hasse Bruniusson alle percussioni, manca forse un po’ di mordente e originalità ma gli arrangiamenti dei nostri non mancano di conferire al sound un luccichio da luna park.
I tre minuti di “Dr. Ribedeaux”, con Lalle Larsson (Agents of Mercy, Karmakanic) al sintetizzatore sono una goduria strumentale per ritmiche e colore degli arrangiamenti, spiace che tutto finisca così in breve, i TFK continuano a regalare buona musica anche senza parti vocali. “Mother Earth” è una canzone scritta da Michael Stolt e Jannica Lund, sentire il fratello di Roine al microfono è un po’ spiazzante ma si integra nel contesto senza troppi problemi e il risultato non stona affatto. Belle le note feline di clavicembalo all’avvio di “The Queen”, altra strumentale ricca di pathos, con le immancabili campane e gli assoli gustosi di Roine Stolt, in equilibrio tra blues e psichedelia.
“The Light in Your Eyes” è il pezzo più vicino allo stile musical di Neal Morse: Hasse Froberg e Jannica Lund duettano dimostrando buona alchimia. Incide meno la vellutata “Seasons End”, mentre in “Scars” spiccano i sintetizzatori di Lalle Larsson. L’attuale sound dei TFK fonde infatti chitarre, tastiere, basso e un comparto vocale variegato (con ben tre voci maschili e interventi di voce femminile), un vero rigoglio. “Stronghold” è la seconda canzone più lunga in scaletta dopo la titletrack, ma parliamo di soli 360 secondi, un’inezia per la discografia degli svedesi. Sul finire del quinto minuto Roine Stolt intesse uno dei suoi assoli spigolosi da manuale, ben noti agli amanti della sua band e dei Transatlantic. Ascoltarlo ancora così in forma dopo decenni di carriera dona un benessere totale.
L’album si chiude con tre brani convincenti. I primi due sono corti: “Father Sky” è un tripudio di percussioni e note di basso pulsanti; “Day for Peace” vede come ospite la magnifica Marjana Semkina (iamthemorning), tre minuti fatati che ricordano i migliori Kaipa. E siamo al gran finale. “Look at You Now” è un signor pezzo, inizia con sonorità vicine agli Yes, si apre in una sezione dalla ritmica sincopata e frizzante e verso la sua metà trova un equilibrio che mostra tutta la classe compositiva dei nostri. Da manuale anche il finale che lascia l’ascoltatore in uno stato di grazia, i TFK sono maestri nel creare atmosfere sospese ed eteree, specie nelle suite.
Nel complesso Look at you è un altro album che non delude. Parliamo infatti di un disco piacevole, con una scaletta composta da pezzi brevi e che in parte recupera certe atmosfere dei primi TFK specie per quanto riguarda i sintetizzatori. Ottimo inoltre il cameo della Semkina e in generale l’alchimia della nuova line-up. Poche band possono vantare una discografia senza cali qualitativi come gli svedesi (chi ha detto Porcupine Tree e Anathema?). Se siete in cerca di un rock barocco e naturalmente prolifico fate vostro il nuovo parto in casa The Flower Kings, non resterete delusi.