Recensione: Looking for Myself
Dopo il debutto e conferma in gran stile dei Riverside, sono molto gli occhi che hanno iniziato a guardare con curiosità al progressive di terra polacca. Una curiosità che dunque accoglie anche l’esordio dei Sandstone (da non confondere con gli omonimi rocker britannici), autori di un metal/rock solo in piccola parte affine a quello dei già affermati colleghi.
Purtroppo però la caratura delle due proposte non è affatto la stessa. Il discorso che vale per i Sandstone, infatti, vale anche per fin troppe altre band esordienti nell’universo prog, che accanto a una competenza musicale di alto livello e a un buon affiatamento tra i musicisti, risentono dei limiti di un songwriting per molti versi acerbo, eccessivamente debitore dei soliti Dream Theater e in definitva poco espressivo. Sia ben chiaro: non si sta chiamando in causa la tristemente abusata accusa della tecnica fine a se stessa. I Sandstone, come tante – se non tutte – le band di questa terra, provano a essere comunicativi ma, a causa probabilmente della scarsa esperienza e di una mentalità compositiva ancora un po’ troppo scolastica, il loro tentativo si risolve in un mezzo fallimento.
Da un certo punto di vista, peraltro, la band si complica la vita da sola. Le sei tracce di cui si compone la tracklist, infatti, mantengono sempre un minutaggio elevato, troppo elevato: sette, nove e anche quindici minuti. Così, invece che godere di un adeguato risalto, gli spunti di pregio che pure si intravedono in ciascuna traccia sono diluiti in oceani di note tiepide e grigiastre. E’ il caso di Keep the Faith, che affonda la coppia bridge-refrain più azzeccata del disco nelle sabbie mobili dell’inconcludente. Come se non bastasse i pattern ritmico-melodici, mai particolarmente pesanti, si svolgono lungo percorsi più prevedibili del lecito: un difetto che in un disco sperimentale, almeno negli intenti, equivale a un delitto capitale. La title-track, per esempio, si perde per tutta la sua interminabile fase centrale in una pedissequa sequenza di assoli e sovrapposizioni strumentali che, pur nella loro estrema precisione tecnica, strapperanno più di uno sbadiglio a chiunque abbia un minimo presente la scena prog degli ultimi dieci-quindici anni. Né sembrano in grado di lasciare il segno le linee vocali del singer Marcin Zmorzynski, pulito e formalmente impeccabile al pari dei compagni, e al pari dei compagni troppo poco comunicativo. Forse coscienti dei propri limiti espressivi, i Sandstone cercano di rifarsi con una ballad trainata da voce e pianoforte: proprio Youth divine tuttavia l’emblema delle loro difficoltà, incapace nonostante tutti gli sforzi di toccare la corda giusta.
Inutile proseguire, ormai il discorso è chiaro. Looking for Myself non è un disco propriamente brutto: non offre il fianco a soluzioni ruffiane o di cattivo gusto, non presenta cadute di stile, non è mai sgradevole all’ascolto. Piuttosto, sembra che la musica che entra nelle orecchie si fermi nel cervello, incapace di arrivare fino al cuore. Sarà così la noia a guidare la mano, che fatalmente dopo ripetuti tentativi di strappare qualche emozione da queste canzoni premerà il tasto “stop”, estrarrà il disco e ne inserirà un altro, magari più semplice, ma più spontaneo.
Tracklist:
1. Like a Thought
2. Keep the faith
3. Looking for Myself
4. Youth
5. Birth of My Soul
6. Sunrise