Recensione: Loss
Nove anni.
Nove anni è il tempo intercorso fra “Empire of Light”, terzo full-length in carriera dei Devil Sold His Soul, e il nuovo arrivo, “Loss”. In mezzo, solo un estemporaneo EP, “Belong ? Betray” (2014). Un periodo lungo, se commisurato alla longevità media di un gruppo musicale, durante il quale, fra allontanamenti e riavvicinamenti, si è cementato il legame delle due voci di Paul Green ed Ed Gibbs; vera novità nel nucleo fondativo dei Nostri.
I quali, in toto, hanno comunque svolto un percorso atto a evolvere verso uno stile ormai adulto e, ottima qualità, a loro facilmente rimandabile per via una maturazione a 360°. Sia tecnica, sia artistica. Uno stile che soffre di una definizione, a parere di chi scrive, non perfettamente in linea con ciò che si ascolta. Il punto è ormai sempre quello: il post-hardcore. Che, per meglio dire, in questo caso viene sostituito da una descrizione più stingente, e cioè il melodic metalcore. Quello tipico dei Paesi mitteleuropei e nordici, insomma, con un occhio di riguardo al Regno Unito.
Come per dare sostegno alla suesposta tesi, l’opener-track, ‘Ardour’, mostra sin da subito i segni peculiari di un sound tremendamente metallico, potente, pieno corposo. Ma anche duro, massiccio, davvero dirompente nei segmenti più movimentati. Il quale, obbediente all’antitesi armonica che fa da base al (sotto)genere, si apre improvvisamente in ampi squarci di delicato sereno, durante i quali si può apprezzare la capacità di produrre atmosfere che si possono toccare con mano (‘Loss’).
L’idea di devolvere la responsabilità delle linee vocali a due frontman si rivela vincente, poiché consente di avere in mano più soluzioni, harsh e clean vocals in primis, per movimentare le varie canzoni con meravigliosi ritornelli associati a tratti di pura violenza sonora (‘Witness Marks’). Non mancano gli inserimenti di campionature e tastiere, inoltre, per sostenere e arricchire un suono di per sé già delineato alla perfezione in tutti i suoi particolari, come nella summenzionata suite. Eccellente, anche, il lavoro svolto dalle due chitarre di Jonny Renshaw e Richard Chapple, capaci con naturalezza di aggredire l’etere con riff possenti e massicci ma anche, e soprattutto, di disegnare splendidi ricami dorati. Che poi sono quelli che svolgono il compito, assieme alle due ugole, di sviluppare l’umore del disco. Mood che, come spesso accade in questi casi, è ammantato da un leggero velo di tristezza e malinconia (‘Tateishi’). Non è facile capire perché queste palpitazioni, volte all’introspezione, siano particolare retaggio del metalcore melodico, tuttavia la mancanza di una risposta non incide minimamente nella percezione di un LP realizzato con grande professionalità ma, in particolare, con tanta anima e cuore. E questo si percepisce in tutte e dieci le tracce dell’LP stesso.
Tracce il cui songwriting è assestato su alti livelli di formale e sostanziale grandezza. A mano a mano che si procede nel cammino, infatti, sembra di ascoltare brani sempre più coinvolgenti, che entrano dentro per non uscirne più, inserendosi nelle profondità della mente. La sezione ritmica composta da Jozef Norocky, basso, e Alex Wood, batteria, che a volte accelera sino ai BPM tipici del thrash (sic!), pare quasi svolgere l’azione di un trapano per forare lo scudo dei sentimenti. E quindi, per lasciare spazio alla fortissima componente emozionale delle varie song (‘Signal Fire’). Tutte baciate da una trance compositiva eccelsa, lievito fecondante per un qualcosa che cresce, si sviluppa e si radica nel cervello con sempre maggiore tenacia nel passaggio da un episodio all’altro. Ovviamente non mancano le tremende mazzate degli stop’n’go, come nell’arcigna ‘The Narcissist’, per un qualcosa che, oltre a scatenare l’avvio dei sogni, aggredisca le membrane timpaniche con grande intensità.
Insomma, l’enorme classe posseduta dal sestetto londinese esplode in tutta la sua cristallinità, regalando tracce memorabili di elevato spessore artistico. Le quali, giova sottolinearlo, non sono certo adatte al mainstream per via della loro intrinseca ruvidezza quanto, bensì, a un pubblico amante il metal in generale, e il melodic metalcore in particolare. Per meglio dire, a tutti gli appassionati della buona musica.
Che è esattamente quella creata dai Devil Sold His Soul con il loro imperdibile “Loss”.
Nove anni…
Daniele “dani66” D’Adamo