Recensione: Lost In The Translation
Finalmente esce il nuovo disco di Jeff Scott Soto, iper attivo cantante che non ha certo bisogno di presentazioni perché ha legato il proprio nome a collaborazioni illustri, oltre alla consolidata carriera solista ormai giunta al terzo album più l’ eccezionale live registrato al Gods of A.O.R del 2002. Dopo gli ottimi risultati raggiunti con Prism, Soto non delude i propri fans e firma un altro ottimo album di hard-rock frizzante e melodico al punto giusto, sigillando così un altro importante tassello del proprio percorso musicale. Niente di nuovo sotto il sole dal punto di vista stilistico, ma una raccolta di ottime canzoni che confermano le doti canore e compositive di questo grande artista.
Dopo essersi fatto conoscere negli anni ottanta con i primi due dischi di Malmsteen, e successivamente con Talisman, Takara, ed il guitar-hero Tedesco Axel Rudi Pell, tanto per citare alcune tra le collaborazioni più importanti, Soto si appresta a tornare sul mercato anche con la super band Soul Cirkus che vede alla chitarra il grande Neal Schon, axe-man dei celebri Journey. Da queste session è estrapolato un ottimo pezzo dal titolo Believe In Me (uscito anche come singolo), scritto a quattro mani con Schon: brano veloce in chiaro stile Journey e sorretto da un lavoro di chitarra davvero notevole con un refrain che ti si stampa in testa sin dal primo ascolto. Gran pezzo suonato divinamente ma che ha una produzione leggermente inferiore al resto del disco. Lo dimostra ampiamente il brano successivo Soul Divine, un bell’hard-rock diretto e ritmato dai suoni frizzanti che esaltano la voce negroide di Soto. Segue Drowning una torrida hard-rock track molto dura e sorretta dalle ottime pennate del validissimo axe-man Howie Simon. Dai toni più malinconici è la bella e marcatamente ottantiana ballad If This Is The End, dove le linee vocali del cantante disegnano un quadretto romantico dall’atmosfera agrodolce. Alza di nuovo i ritmi, la dura e funkeggiante title track, mentre la seguente Doin’Time è più cadenzata e parecchio accattivante per il suo incedere quasi heavy ma dal cantato sempre melodico. Ottimo il solo di chitarra di Howie Simon che si conferma ottimo musicista e solista di spicco: grande brano. Segue High Time un frizzante hard-rock molto A.O.R nei cori e nelle vocals: brano piacevole che vede alla chitarra Gary Schutt già bassista sul precedente lavoro live del singer. E’ la volta dell’atmosferica Begging 2 End un’altra ballad ottimamente interpretata dalla solita voce di Soto con un ottimo stacco solistico dai toni sinfonici. Si rialzano di nuovo i ritmi con la sincopata e secca On My Own, mentre la seguente Find Our Way è un buona hard-rock song sostenuta da una bella ritmica dai toni tipicamente A.O.R. Segue l’acustica Sacred Eyes che si lascia apprezzare per la prestazione vocal-corale del buon Soto. Termina la bonus-track Dulce Lady, un brano cadenzato e molto duro che pone la parola fine ad un lavoro di gran presa.
In conclusione si può tranquillamente affermare che Lost In The Translation è un disco certamente ottimo, molto vario nelle sue soluzioni ed a tratti quasi heavy, che conferma l’incredibile talento vocale e veramente versatile di Soto. Grande ritorno. Dimenticavo che su cd è presente anche il video di If This Is The End.
Tracklist:
Believe In Me
Soul Divine
Drowning
If This Is The End
Lost In The Translation
Doin’ Time
High Time
Beginning 2 End
On my Own
Find Our Way
Sacred Eyes
Dulce Lady -Bonus Track-
If Thi Is The End – Video