Recensione: Lost on Void’s Horizon
Il death metal è come una pandemia: si infila ovunque. Anche in Slovena, terra tradizionalmente povera di act che praticano il metal estremo. Almeno, in grado di superare il più nascosto underground per giungere a stringere un contratto discografico, seppure con una minuscola etichetta come la Edged Circle Productions.
La premessa è d’obbligo giacché serve a dimostrare che, a parte i grandi nomi, il sottobosco del metal oltranzista pullula di vita o, come in questo caso, di morte. Sottobosco che continua a generare formazioni come funghi. Nel caso i Siderean che, con il loro full-length di debutto, “Lost on Void’s Horizon”, alimentano la produzione di humus. Siderean, nati soltanto due anni fa e che, in base a ciò, rendono il settore del death metal come una specie di brodo primordiale dal quale emergono numerosissime realtà se rapportate all’unità di tempo.
Il quintetto di Ljubljana, in più, accoglie in sé un altro elemento che, oggi, aiuta il genere a diversificarsi nelle sua varie ramificazioni: l’atmosfera. Atmospheric death metal, quindi. Una definizione che serve a comprendere che uno dei concetti cardini del (sotto)genere medesimo risiede nella volontà di generare nella mente di chi ascolta – grazie all’introduzione di inserti ambient, elettronica, campionamenti, tastiere ecc. – , visioni concrete, reali, atte ad aiutare l’assorbimento di immaginari, in questo caso, tuffi negli astri del Cosmo.
È bene nondimeno evidenziare che i Siderean non inventano nulla di nuovo. Il loro death presenta difatti i dettami caratteristici del caso e nulla più. Growling rifinito con la carta di vetro a grana grossa, giusto per impedire l’assimilazione dei testi; chitarre impegnate in rifferama in questo caso specifico piuttosto complessi e articolati, rifiniti con assoli ove regna indisturbata la dissonanza, nonché arpeggi dal vago sapore extraterreste. Sezione ritmica molto varia nel proporre la corretta spinta propulsiva per attraversare i sistemi solari, ovviamente grazie alla spinta di improvvise folate in ordine alla furia cieca dei blast-beats.
Il tutto appare come caotico, casuale, figlio di una mancanza di un filo conduttore che mantenga il gruppo sulla via maestra. Tuttavia, è anche questa un’altra peculiarità di questa specifica foggia musicale. L’apparente assenza di coesione fra la band e l’LP è ovviamente voluta, e serve principalmente a svincolare la mente dal mondo materiale per trasferirla negli immaginari paesaggi disegnati da uno stile comunque centrato e adulto, nonostante la giovane età dell’act dell’Est europeo. Anche la produzione, sporca, rozza, confusionaria, serve per raggiungere questo intento. E questo poiché è solo e soltanto in questo modo che si riesce strappare la membrana che divide la realtà dalla fantasia. Un modo che non può che avere, in sé, tutti i metodi musicali conosciuti per valicare il confine del tangibile per roteare, viaggiare alla velocità del pensiero e quindi della luce, catapultarsi nell’incognita dei buchi neri, attraversare le galassie.
Un’operazione che ai Nostri riesce quasi in toto. In toto, visto che essi cadono nella solita trappola, e cioè che le sei canzoni del disco appaiono troppo simili le una alle altre. Anche tale affermazione può derivare da un’idea espressa a tavolino. Un unico artefatto sulle cui superfici giacciono vergate a fuoco le tematiche che formano l’ossatura testuale del platter. Un’operazione teoricamente encomiabile ma che produce degli effetti abbastanza nefasti, oltre che a rappresentare un difetto non da poco. La povertà del songwriting, infatti, conduce a una sequenza di ascolti inevitabilmente breve, senza che ci sia un qualcosa di diverso dai soliti cliché. In sostanza, una capacità compositiva che riesce a elaborare con efficacia un sound interessante se osservato a tutto tondo ma che, scendendo nei particolari, mostra delle notevoli difficoltà a trasferire il medesimo interesse nei singoli brani.
“Lost on Void’s Horizon” è un’opera che, in sostanza, si rivela adatta soltanto agli appassionati della categoria. I Siderean sanno sicuramente il fatto loro ma non riescono a infondere, nel disco stesso, elementi di innovazione tali da renderlo assimilabile a tutti.
Daniele “dani66” D’Adamo