Recensione: Lost XXIII

Di Fabio Vellata - 13 Aprile 2022 - 8:00
Lost XXIII
Etichetta: SPV Records
Genere: Hard Rock 
Anno: 2022
Nazione:
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70

Recensire un nuovo album di Axel Rudi Pell è un compito diventato negli anni una sorta di routine consolidata e abitudinaria.
Parole scelte non a caso ed assolutamente volute. Pochi come il chitarrista tedesco hanno saputo – nel bene e nel male – costruire una solidità stilistica immota e granitica, fissata da cardini imprescindibili al punto da diventare radicali.

Ammirevole coerenza o banalità priva d’inventiva?
Elucubrazione già fatta mille volte: dipende da che parte si è soliti stare. Se da quella degli estimatori, cui un disco corroborato da uno stile fatto da melodie epiche, buoni assolo e lunghe parti strumentali, non spiace mai pur nel suo essere prevedibile e quasi senza variazioni. Oppure, proprio per via di questi due fattori, da quella di chi considera la carriera del guitar wizard germanico arrivata al ventitreesimo album in studio, ormai priva di sussulti. Statica ed immobile.
Come un eterno “giorno della marmotta” messo in note hard rock: un perpetuo ripetersi delle stesse arie, melodie, accordi ed arrangiamenti.
C’è chi si annoia. E chi nel reiterarsi continuo e senza sorprese di argomenti conosciuti, rintraccia una sensazione di sicurezza data dal fatto che, essendo piaciuto da sempre, piacerà ancora e ancora.

Senza sorprese, al di sopra del concetto stesso di coerenza, Axel Rudi Pell, assieme ai fidatissimi Johnny Gioeli, Bobby Rondinelli, Volker Krawczak e Ferdy Doernberg confeziona l’ennesimo disco uguale a se stesso. Specchio di un trademark incrollabile e tanto fisso da far invidia ad Ac/Dc e Running Wild. Un caso forse più unico che raro, descritto anche dalla costanza con cui Pell si è sempre e solo affidato ad un’unica casa discografica in tutta la sua carriera solista arrivata al trentatreesimo anno. La storica SPV. Praticamente un portabandiera.
Insomma, presto fatto. In “Lost XXIII” ci sono, come sempre, le consuete fughe epicheggianti che mescolano Rainbow, Deep Purple, Dio e Malmsteen. La familiare copertina in tema fantasy, la voce graffiante di Gioeli, gli assolo passionali, i brani cadenzati e mai troppo veloci. Le atmosfere sulfuree, crepuscolari, dal sapore barocco.
Nulla di diverso, strano o insolito. Magari fuori dagli schemi in cui Pell si sente da sempre a proprio agio.
Semmai, qualche momento che si fa preferire nella confortante tranquillità della consuetudine. È il caso delle sgommate hard n’heavy di “No Compromise” e “Survive“, canzoni che nel solco della tradizione aggiungono qualche grammo di ruvida sfrontatezza ad un canovaccio ben conosciuto.
Oppure della accorata “Gone with the Wind”, liberamente tratta dalla toccante storia del fedele cane Hachiko, già trasposta in pellicola in un commovente film con Richard Gere.
Per chiudere con il classico finale rainbowiano riservato alla lunga title track in cui si distinguono passaggi arabeggianti e l’immancabile intermezzo strumentale che sin dai tempi di “Black Moon Pyramid” abbiamo imparato a conoscere molto bene.

Ecco, questo è “Lost XXIII”. Un album in pieno stile Axel Rudi Pell, simile e paragonabile ai suoi predecessori in tutte le sue caratteristiche più peculiari. Nei pregi e nei difetti.
Piaccia o meno, proprio l’aspetto che, pur rappresentando un limite per molti ne è anche ampio punto a favore.
Se il particolare modo di far musica di Axel Rudi Pell è sempre stato gradito ai propri gusti, continuerà a farlo anche stavolta. E con ogni probabilità lo farà pure in futuro: in fondo è ben difficile trovare qualcuno che lo interpreti meglio.

Al contrario, non avendone mai apprezzato lo stile, si potrà ignorare anche questa ennesima pubblicazione del wizard tedesco senza rimpianti.
Dubitiamo esista un artista più accomodante e facile da definire…

 

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