Recensione: Loud & Clear
Dio e Bruce Dickinson.
Ecco i primi due nomi che beneficiano delle special-thanks nel book di questo cd.
Ma se il Bruce, che molti considerano alla stregua di una divinità, non è il cantante della Vergine di Ferro, l’ Altissimo ha senz’ altro concesso uno sguardo di benevolenza nella fase di composizione di questo full-length.
Uscito nel 1989, in sordina e con una distribuzione che prevedeva una presenza solo nel mercato americano e solo su supporto ottico (!), questo “Loud & Clear” è probabilmente il più grande “compromesso” tra il Classic Metal e l’Aor di lusso che l’hard melodico ci abbia mai concesso
La Emi, al tempo, fece notevoli sforzi economici per finanziare l’operazione, anche se, inspiegabilmente, l’aspetto promozionale fu trascurato, stroncando prematuramente la carriera della band.
La produzione, quella del mago Kevin Elson (dietro la consolle di album come “Escape” dei Journey, “The Final Countdown” degli Europe, e di gran parte della produzione targata Mr. Big), si sposa alla perfezione con lo stato di grazia del gruppo e ci restituisce un risultato a cinque stelle, costituendo un punto d’incontro ideale, in cui sonorità cristalline e paradisiache trovano la perfetta dimensione per convergere in soluzioni di sicura efficacia, senza perdere mai di vista la matrice hard oriented.
Il platter, solo anni dopo beneficerà di una distribuzione più capillare, scrollandosi di dosso quell’aurea mistica dovuta alla sua scarsa reperibilità.
La Axe Killer, label francese ora non più in attività, nel 1999, infatti, si rese sensibile all’operazione di “recupero” di questo classico, e “Loud & Clear” fu “riabilitato”.
Un grande peccato sarebbe stato infatti non poterci deliziare della voce di Sua Maestà Marcie Free di cui questo disco può fregiarsi.
Maturata l’importante esperienza con i King Kobra a metà anni ’80, con la pubblicazione di un paio di album destinati a diventare dei propri veri oggetti di culto, il biondo-crinito singer americano, sfodera una prestazione memorabile e di grande maturità, palesando tutto il suo talento nelle dieci gemme di questo full-length, ricordiamolo, unica testimonianza in studio del gruppo, la cui discografia si completa con un unico live del 1990, intitolato semplicemente “Signal Live”, e praticamente trasposizione fedele dell’album d’ esordio.
Ma è tutto il gruppo che, vista la padronanza tecnica di cui nel disco si fà grande sfoggio, si attesta sul grandi livelli.
L’opener “Arms of a Stranger” dalla grande carica hard, ma dall’avvincente istinto melodico, è l’archetipo delle grandi capacità del gruppo a creare intrecci sonori non convenzionali, portando la song quasi “al limite” forse anche in maniera inconscia vista la sicurezza che trasmette lo stesso Free nella sua interpretazione.
Ma è solo l’inizio di una sequenza memorabile di struggenti momenti emozionali che hanno la loro massima espressività – ad esempio- nella successiva “Does It Feel Like Love”, introdotta da rintocchi solenni, in perfetta tradizione Pomp.
Come poi dimenticare la fiera e cadenzata “Liar”, dai ritmi che nel chorus sfociano in un cantato dal sapore melodrammatico e dai contorni rabbiosi, quasi per rafforzare in modo onomatopeico il titolo della song stessa?
Impossibile poi tralasciare la dolce e sensuale “Could This Be Love”, che arriva a toccare vette passionali ed emotive nella migliore tradizione romantica, cara a tutto il filone AOR degli anni ottanta.
L’anthem per eccellenza del disco spetta a “You Won’t See Me Cry”: i sentieri emozionali della song si sorreggono sulla prestazione – manco a dirlo – di Mark Free in un incedere maestoso e gioioso, frutto di un’elaborazione tecnica ricercata e sofferta che sfocia in una capacità interpretativa sempre raffinata e mai banale. Ma questo, mi sentirei di sentenziare, è il comune denominatore di tutto l’album: da “My Mistake”, dai ritmi meno convenzionali e dai sapori vagamente Soul, alla più riflessiva e viscerale “Wake Up You Little Fool”, da “Go” (Asia docet e non solo per il titolo…) quasi “isterica” nella celebrazione chitarristica, forse accademica ma sempre funzionale al cantato, a “Run Into The Night”, che insieme alla precedente contribuisce a dipingere un quadro armonioso e sfavillante di mille luci e colori.
Se volete un dispensatore di emozioni, questo “Loud & Clear” fà per voi. Fidatevi
Spero di essere stato “Forte e Chiaro”.
Signal is:
Mark Free lead vocals
Danny Jacob guitar
Erik Scott bass, keyboards
Jan Uvena drums, percussion
Andrea “ryche74” Loi