Recensione: Louder, Harder, Faster
Alla vecchia maniera: voce, chitarra, basso, batteria, nessuna leziosità ed un buon patrimonio di talento ed energia.
Assenti da sei anni – era il 2011 quando venne pubblicato il discreto “Rockaholic” – i Warrant sembrano sempre sul punto di dare un addio definitivo alle scene, lasciando belle memorie di un passato che appare risucchiato dai flutti del tempo. Salvo poi riemergere con un po’ di vitale rock “old style”, mettendo in circolo nuovamente quel fuoco sacro che ha consentito di confermarne negli anni il brand come credibile ed apprezzato. Ancora oggi, grazie essenzialmente a primi due album prodotti, assimilabile con onore ed orgoglio alla grande epoca dell’hard rock americano anni ottanta.
“Louder, harder, faster”: più che un titolo un modo esplicito per far comprendere sin dapprincipio quale sia ora lo stile fondante della band Losangelina, lontana dalle smorfie hair metal degli esordi e dagli incomprensibili eccessi grunge di metà carriera, a pieno vantaggio di un modo di comporre e suonare asciutto, estremamente diretto e genuino. Che non ha timore di mostrare cicatrici e rughe del tempo, fregiandosi piuttosto di una propria natura scevra da smancerie ed atteggiamenti svenevoli.
Sono rocker vecchio stampo i Warrant e non è più tempo di rincorrere le mode o di apparire diversi da quel che si è. Via libera quindi ad un lotto di brani che non hanno nulla di originale, ma vanno a segno rielaborando con grinta e passione “l’abc” del rock n’roll in modo semplice ed immediato.
L’idea è quella intramontabile di sapori vicini alla tradizione, suoni e scenari magari un po’ demodé, ma sempre ricchi di esuberanza. Una bella sgasata sull’acceleratore su e giù per il Sunset Boulevard, mettendo in fila Mötley Crüe, Black n’Blue, Faster Pussycat, Ratt e Cinderella in un rigurgito di classicume assortito che non può che piacere moltissimo ai fan non più giovanissimi.
Parecchia sostanza, qualche momento un pizzico scontato e moltissima energia: la performante title track, insieme alle incalzanti “Only Broken Heart” e “Choose Your Fate” rappresentano il versante più solido e roccioso della band, guidata con buona sicurezza dall’ex Lynch Mob (molto ex, ormai) Robert Mason, padronissimo della scena ancor più che nel precedente “Rockaholic”.
Ci garbano maggiormente però le trovate hard-bluesy di pezzi come “Devil Dancer” e “Music Man” (chi si ricorda i Tattoo Rodeo?), per non parlare della vena sciocchina e più solare di “Faded” e “Let It Go”, afflati hair metal provenienti dalle profondità più remote del background in forza ad Erik Turner e Jerry Dixon, membri originari del nucleo primèvo della band americana.
Avremmo invece fatto a meno di “U in My Life” – ballata invero molto canonica e finanche banale, di quelle che sanno di strasentito dopo quattro note – e della tediosa “Big Sandy”, pezzo che va sparato nella categoria dei “riempitivi”, in virtù di una linea melodica mai accattivante e di un martellamento troppo monotono delle ritmiche.
Detto di suoni dignitosissimi che nulla hanno di polveroso o vintage, la nuova release dei Warrant non è insomma un disco da torcida furibonda, ma comunque un validissimo esempio di come possa essere efficace e sensato ancor oggi suonare hard rock vecchio stile.
Soprattutto se a praticarlo sono professionisti realmente “sul pezzo” e padroni della materia come i Warrant.