Recensione: Love
I Cult, nacquero in Inghilterra nel 1984 dalle ceneri dei Southern Death Cult, band dedita fin dagli esordi ad una sorta di punk darkeggiante; in quell’anno la band decise di abbreviare il monicker che inizialmente rimandava al nome di una tribù nordamericana e di dare alle stampe il proprio debut album ‘Dreamtime’, tuttavia il successo internazionale arrivò solo successivamente, con il favoloso trittico inaugurato nel 1985 da Love, cui faranno seguito ‘Electric’, targato 1987, e ‘Sonic Temple’, uscito nel 1989 e giunto addirittura alla posizione numero 10 di Billboard.
In questo periodo i Cult abbandonarono definitivamente le scorie punk delle origini e virarono gradualmente verso lidi decisamente più affini ad un hard rock di matrice settantiana e, solo in seguito (in particolare con ‘Sonic Temple’), parzialmente influenzato dal tipico sound a stelle e strisce degli anni ’80.
Nella musica proposta su ‘Love’ dal terzetto inglese, confluiscono il riffing zeppeliniano e a tratti noise di Billy Duffy, i vocalizzi sensuali ed enfatici di Ian Astbury (vero e proprio epigono di Jim Morrison non a caso scelto da Robby Krieger e Ray Manzarek per fare le veci del defunto leader nella rimpatriata dei Doors, superstiti), un marcato retrogusto dark e una sorta di “misticismo” tribale che evidenziava, sin dall’elegante cover dominata da colori cupi e arcani simbolismi, una singolare simbiosi con la cultura e l’immaginario dei nativi del Nord America.
Il risultato di una miscela sonora così variegata fu la formula vincente che permise ai Cult di distinguersi e imporsi al pubblico all’interno di una decade dominata da correnti musicali che in tempi successivi sarebbero andati ad arricchire ulteriormente il loro bagaglio di influenze, come la NWOBHM europea e la scena hard/glam americana.
Le numerose hit estratte da ‘Love’ furono indubbiamente un ottimo viatico per il successo, tuttavia, accanto a singoli molto conosciuti come ‘She Sells Sanctuary’, ‘Rain’ e la quasi pop ‘Revolution’ (classificate rispettivamente in 15 a, 17 a e 30 a in Gran Bretagna), la tracklist presenta molti altri spunti di grande livello.
‘Nirvana’ e ‘Phoenix’, quest’ultima introdotta da un ottimo assolo ad opera di Billy Duffy, sono certamente i pezzi più hard-oriented del lotto, animati da riff sferraglianti e melodie ispirate, cui si contrappongono le atmosfere psichedeliche di ‘Big Neon Glitter’ e ‘Brother Wolf, Sister Moon’ che, grazie a giri di chitarra ipnotici e a un cantato magniloquente ed evocativo, riescono efficacemente nell’intento di trascinare l’ascoltatore in un immaginario fatto di riti esoterici e danze attorno ai falò, mentre tuoni lontani si scatenano in sottofondo.
L’intensa title track è uno splendido esempio di hard rock venato da reminiscenze blues, costruito su riff a presa rapida e su una melodia vincente fin dal primo ascolto, forse la migliore di tutto l’album e, infine, ‘Hollow Man’ e la sognante ‘Black Angel’ risultano essere altri due brani molto convincenti in pieno Cult-style, sostenuti da un guitar work ipnotico e straniante e dalle vocals ammalianti di Ian Astbury.
In conclusione ‘Love’ rappresenta un passo in avanti sostanziale nella carriera dei Cult, un album ricco di grandi hit, grazie al quale la proposta musicale della band si arricchisce in espressività e contenuti giovandone dal punto di vista della qualità complessiva e del successo commerciale e nel contempo rappresenta anche un trait d’union tra lo spiritualismo dark degli esordi e il sound ancora più elettrico e definitivamente orientato all’hard ‘n’ heavy degli album successivi.
Stefano Burini
Tracklist:
01. Nirvana
02. Big Neon Glitter
03. Love
04. Brother Wolf, Sister Moon
05. Rain
06. Phoenix
07. Hollow Man
08. Evolution
09. She Sells Sanctuary
10. Black Angel
Line Up:
Ian Astbury – Voce
William H. Duffy – Chitarre
Jamie Steward – Basso e Tastiere
Mark Brzezicki* – Batteria su tutte le canzoni eccetto ‘She Sells Sanctuary’
Nigel Preston* – Batteria su ‘She Sells Sanctuary’
(* = Membri non ufficiali della band)