Recensione: Love & Beyond

Di Fabio Vellata - 23 Aprile 2019 - 17:14
Love & Beyond
Etichetta:
Genere: AOR 
Anno: 2019
Nazione:
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76

Un disco nuovo della Michael Thompson Band è un evento paragonabile all’allineamento di pianeti, ad un’eclissi solare, al passaggio della cometa di Halley.
Una roba rara, insomma.
Soprattutto se si pensa che nell’arco di un’esistenza ultratrentennale, il progetto solista di Michael Thompson – eminente guitar player newyorkese tra i più significativi ed influenti in ambiti melodic rock di sempre – ha collezionato soltanto una coppia d’uscite, in procinto di diventare trio con questo nuovo e molto atteso “Love & Beyond”, album che arriva a distanza di ben sette anni dal precedente “Future Past”.

Per gli appassionati di AOR e Westcoast, il nome della MTB rimane, da sempre, indissolubilmente legato a quel capolavoro sconvolgente che si era rivelato essere “How Long”, debutto del 1989. Una sorta di sacro graal dell’AOR, un disco ai limiti della perfezione, da Pantheon immortale del settore. Uno di quegli album che si consigliano, a priori, a chiunque voglia ascoltare qualcosa di realmente definitivo in tali settori.
Altrettanto riuscito, seppur meno determinante per le sorti del genere, era stato poi il buonissimo e già citato “Future Past”, cd confezionato con l’aiuto di Larry King dei Soleil Moon alla voce che aveva regalato una veste più rock alle armonie chitarristiche intessute da Michael Thompson
Un degno successore del masterpiece edito ventitré anni prima.

Una premessa doverosa per rappresentare quanto significativo possa essere il nome di Michael Thompson per i cultori di certi suoni specifici, e quanto, soprattutto, potesse essere elevato l’hype in occasione di una sua – rarissima – nuova uscita.

Attendersi un capolavoro in buona sostanza, era lecito.
Anzi di più: non saremmo stati disposti ad accettare nulla di meno, alla luce soprattutto, della confermata collaborazione con Larry King, Mark Spiro e Larry Antonino (Unruly Child), personaggi per i quali l’hi-tech AOR è pane quotidiano e terreno costante di conquista.
Ed è proprio per questo che, con un pizzico di rammarico, tocca stavolta constatare come le vette toccate con i due illustrissimi predecessori siano raggiunte solo in qualche caso. Ad intermittenza. Senza che le qualità sontuose che Thompson ed i suoi illustri sodali hanno nelle mani, nella mente e nelle idee, emergano appieno con diffusa, copiosa ed uniforme stabilità e tenacia.

Il paragone con quanto espresso in precedenza può, come sempre, affermarsi quale motivo di vanto ma, parimenti, come limite esiziale per i passi successivi di una carriera.
Ed è così che, inevitabilmente, questo “Love & Beyond” annunciato nei mesi scorsi come un ritorno al passato, alla gloria del debutto, finisce per rimanere stritolato dalla immane grandezza del fiero capostipite, risultandone solo a tratti figlio legittimo e degnamente rappresentativo.
Produzione meno scintillante di quanto necessario, songwriting talvolta un po’ ripetitivo ed una eccessiva prolissità, si propongono quali zavorre deleterie e dannose, tali da far affiorare un pizzico se non proprio di delusione, comunque di disappunto. 
Forse siamo troppo esigenti. Forse avremmo preteso l’ennesimo disco memorabile. Forse ci saremmo aspettati una serie sconfinata di colpi di genio. Forse, forse, forse…
Fatto sta che, pezzi come “Passengers“, “Supersonic“, “Love Was Never Blind” e “Don’t Look Down” non riescono proprio a stuzzicare la proverbiale fantasia, manifestandosi come brani gradevoli, apparentati con un buon taglio westcoastiano, senza però che in essi siano davvero percepibili momenti di reale trasporto emotivo. Qualcosa di routinario, comune, già ascoltato e nemmeno così imperdibile, per essere chiari. Canzoni piacevoli ma come tante, per le quali non è di certo necessario scomodare il nome di un maestro come Michael Thompson.

Materia, insomma, da maneggiare ancora una volta con estrema cura: come sottolineato poco fa, è nuovamente insensato, quasi utopico lasciarsi andare ad ingannevoli paragoni con qualcosa che si è imposto quale pietra angolare di un genere. Ed è probabilmente questa la barriera principale che impedisce a “Love & Beyond” di essere giudicato serenamente. Il presentarsi come un “ritorno alle origini”. Con tutto quel che ne consegue.
Già, perché, tutto sommato e al netto di qualche filler, di brani interessanti e ben realizzati ce ne sarebbero pure. L’iniziale title track (forse il momento migliore di tutto l’album) e la successiva “Save Yourself”, sono ottimo westcoast, godibilissimo, solare ed ispirato, così come “Flying Without Wings“, “What Will I Be” e la conclusiva “Starting Over” (che dilemma tuttavia i suoni, mai uniformi da un brano all’altro!).
Buon condimento anche i brevi strumentali che intervengono ad inframmezzare i brani, palcoscenico riservato alla sola sei corde di Thompson
Un po’ superflui, per quanto godibili, tutto a dimostrazione di come il talento sussista e permanga, ancorché, per questa volta, non espresso e spinto al massimo.

Voci e strumentazioni funzionano: il comparto riservato alle canzoni ed ai suoni stanno invece qualche punto al di sotto del primato.
Valutato con giusto distacco, depurato cioè dall’alone di magia che si avvolge attorno alla storia della Michael Thompson Band ed al netto di una tracklist non sempre ineccepibile, “Love & Beyond” risulta, in ogni modo, per quello che è “per se stesso” e non in ossequio alla storia di chi ne griffa la copertina.
Ovvero, un buon disco di AOR smodatamente westcoastiano, che ha nelle tinte tenui, nei toni accomodanti e nelle armonie morbide il proprio punto di forza principale e più rappresentativo.

Nulla di più. Nulla di meno.

 

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