Recensione: Lovely Sort of Death
Lead Me To Our Only Place
Dressed For Opening Time
Show Me Bleeding Where My Love
Burns You Breathing Fire
The Funeral Is Waking Now From The Summer’s Kiss
Damn The Heavens For Your Roses Are Growing Wilder Now
E alla fine rimasero in due, questa è la breve e drastica sintesi dei Bloody Hammers, che ad oggi riemergono dalle tenebre attraverso al loro quarto album ufficiale in cinque anni d’attività. Di acqua n’è passata sotto ponti durante questo tempo e nel bene o nel male la band è rimasta vedova dell’ultimo componente esterno alla coppia, per concentrarsi su un sound molto più intimo e personale. Una sintesi scarsa ma veritiera questa, che offre un quadro molto chiaro di cosa ci offre oggi il gruppo di Charlotte; “Lovely Sort of Death” è un album che si distacca in maniera drastica dal passato, lasciando solamente intravedere in lontananza i suoni grezzi e corposi dello stoner doom degli album precedenti. Un prodotto confezionato e creato a quattro mani, dove la musica proposta non è altro che la sintesi del rapporto sentimentale ed umano tra Devallia e Anders Manga; così come il matrimonio li ha uniti per la vita, questo quarto album esce dal profondo e si staglia all’orizzonte musicale della band quale nuovo corso musicale, dal quale con molto probabilità, sarà impossibile tornare indietro.
Certamente è doom, ma doom contaminato da tinte goth con diversi richiami a band distanti ma molto vicine tra loro quali Sister of Mercy, Cure, Type 0 Negative e i Tiamat più dark; proprio la sponda dark wave potrebbe essere il trampolino di lancio su cui andare a comprendere le vere tinte monocromatiche insite all’interno di “Lovely Sort of Death”. Sin dall’apertura affidata ‘Bloodletting On the Kiss’ le atmosfere si fanno sulfuree ed introspettive; qualche cambio tempo e urlo di turno lo si trova, ma in generale tutta la canzone è pervasa da quell’atmosfera di malinconia e oscurità che non accennerà a distogliersi sino a fine tracklist. I synth di sottofondo aiutano aumentare la malvagità e la “nerezza” della canzone, che come le successive ‘Lights Come Alive’, ‘The Reaper Comes’ o la magnifica ‘Ether’, non accennano ad abbandonare la struttura composita dei Bloody Hammers, infarcita da una cospicua dose di clean vocals armoniose e decadenti come mai prima d’ora. Canzoni ipoteticamente definibili quali romantiche si succedono una dopo l’altra dentro un tempio dove gli angeli piangono e le nuvole nere lasciano percepire la tempesta interiore. La sensazione che il duo abbia voluto trasportare la propria relazione sotto un aspetto prettamente musicale è impossibile da non notare; non v’è luce qui dentro. Nebbia, un cimitero in lontananza e gli spettri che sussurrano le cantiche della morte. L’effetto complessivo è magnifico, basta ascoltare ‘Messalina’ per riuscire a respirare quell’aria dei già citati Sister of Mercy, contaminata da un’atmosfera stoner-eggiante che conferma la volontà dei nostri di aver volontariamente effettuato una ricerca sonora ben mirata. Spontaneità, questa è però la parola d’ordine poiché la voglia di lasciarsi andare agli istinti più profondi traspare chiaramente; senza voler forzare l’andatura delle canzoni che risultano singolarmente differenziate e contemporaneamente vicine si percepisce quella impalpabile unicità infinita e indissolubile in tutto l’album. Non tutto funziona al meglio purtroppo poiché anche se è stata riscontrata una notevole dose di ispirazione, molti brani lavorano splendidamente, la quasi completa assenza di tutto ciò che aveva inizialmente creato la band porta il disco a lavorare faticosamente sulla lunga distanza. Molto probabilmente vediamolo come un lavoro di transizione, poiché questo distacco è troppo repentino per far si che i nostri abbiano bene chiaro ciò che sarà la vera anima della band da qui in avanti. Alcuni brani quali ‘Stoke the Fire’, ‘Astral Travel’ o la lenta ‘Shadow out of Time’ potevano essere finalizzati meglio e con qualche dettaglio in più; dettagli come detto ma, la conferma di essere di fronte ad una sperimentazione vera e propria è palese. Vediamolo come un rodaggio prima del volo finale, che risulta leggermente senza struttura portante a tutt’oggi.
Se il cimitero si staglia sopra la collina, le croci vengono intraviste nella foschia autunnale e i corvi sorvolano i nostri corpi, tutto lascia presagire che il sole a fine agosto ha finito di sorridere al mondo. Se si entra all’interno di “Lovely Sort of Death” con la giusta dinamica, sarà più facile immedesimarsi lungo queste canzoni, che risultano l’anticamera ad un mondo ultraterreno cesellato di anime senza speranza, lungo le vallate della sofferenza umana. Un buon album che agli amanti del buio non farà che regalare emozioni ascolto dopo ascolto; per tutti gli altri, l’avvicinamento al nero mietitore è solo rimandato di qualche giorno.
Sin dal giorno della mia nascita, la mia morte ha iniziato il suo cammino. Sta camminando verso di me, senza fretta.
Jean Cocteau