Recensione: Lucifer II
“Lucifer II”, secondo capitolo dei Lucifer, occult rock band capitanata dalla bravissima Johanna Sadonis, rientra sicuramente tra i dischi più attesi di questo 2018. La formazione di Berlino (città natale di Johanna) ha saputo conquistare l’interesse di fan e addetti ai lavori già dai suoi primi passi, grazie a un debut album di valore, intitolato “Lucifer I”, un tour europeo di supporto ai Paradise Lost e a una line-up che, oltre alla splendida voce della Sadonis, poteva vantare la presenza del leggendario Gaz Jennings, chitarrista che non necessita di presentazioni, vista la sua pluridecennale militanza nei seminali e ormai defunti Cathedral.
Come spesso accade, però, le sorprese e gli imprevisti sono sempre dietro l’angolo. Nel 2016 i due, in maniera amichevole, interrompono la propria collaborazione; Johanna prosegue l’avventura targata Lucifer, rivoluzionando la formazione, trovando l’interesse e il prezioso aiuto dell’amico Nicke Andersson, altra leggenda vivente, che può permettersi di esibire sul proprio curriculum, alla voce “band in cui hai militato”, nomi come Entombed e The Hellacopters. Ai due si aggiunge il chitarrista svedese Robin Tidebrink, pronto a mettere la sua sei corde al servizio dei Lucifer. È con questa formazione che “Lucifer II” prende forma, tassello dopo tassello, portando i Nostri alla decisione di entrare in studio come terzetto, con Andersson a occuparsi di batteria, basso e chitarra, quest’ultima condivisa con Tidebrink.
Una formazione così rivoluzionata, inevitabilmente, porta con sé un approccio diverso nell’affrontare i pezzi, sia in fase di composizione che di interpretazione, e “Lucifer II” si presenta proprio in questo modo. I Lucifer, infatti, attuano un’evoluzione alla propria proposta, tuffandosi in maniera decisa in una dimensione settantiana, combinando rock, doom, un pizzico di psichedelia e aggiungendo al tutto alcune aperture che riportano alla mente i The Hellacopters. I Nostri realizzano così un disco che, pur seguendo il sentiero intrapreso dalla band ai suoi esordi, rappresenta una sorta di stacco con il proprio predecessore. Sia chiaro, anche “Lucifer I” presentava una matrice settantiana, ma lo spirito di fondo era orientato verso il revival dell’occult rock. In questo secondo capitolo, invece, l’approccio, l’attitudine espressa sembrano arrivare direttamente dagli anni Settanta: la struttura dei pezzi, il riffing delle chitarre, le rullate di batteria, la sezione ritmica, la scelta dei cori, tutto appare chiaramente influenzato da quella decade, una tra le più gloriose nella storia della musica. Non a caso, tra i nove pezzi che compongono “Lucifer II”, appare la cover ‘Dancing with Mr. D’, chiaro tributo ai Rolling Stones. Bastano poche note per capire che il disco ruota sulla splendida, e più volte citata, voce di Johanna Sadonis. La vera protagonista è lei, con le sue linee vocali estremamente musicali e avvolgenti, a volte più ariose e sognanti, altre più incalzanti e dirette, come da scuola settantiana. Attorno a lei un tappeto sonoro che si rivela una sorta di connubio tra le varie anime che hanno caratterizzato gli anni Settanta. Ci troviamo così al cospetto di canzoni più spumeggianti, come la bellissima opener ‘California Son’, per poi passare, con la splendida ‘Dreamer’, a soluzioni che rievocano le atmosfere più riflessive e teatrali dei Black Sabbath, spostandoci successivamente verso aperture più “americaneggianti” figlie dei Blue Öyster Cult con ‘Phoenix’, a detta di chi scrive, la canzone migliore del lotto.
Con un trittico iniziale di tal fattura, “Lucifer II” si apre nei migliori dei modi, con l’asticella della qualità che schizza a livelli elevatissimi. Pronti a segnarci il disco come uno dei papabili a entrare nella top ten di fine anno, continuiamo l’ascolto, ansiosi di scoprire dove abbiano deciso di condurci i Lucifer. Purtroppo, però, gli altri capitoli dell’album non riescono a mantenere l’asticella agli stessi livelli delle prime tre tracce e, anzi, nella sua parte centrale e finale, il disco dà qualche segnale di cedimento. Canzoni come ‘Before the Sun’ e ‘Aton’, ad esempio, pur sfoggiando una struttura e una prestazione ineccepibile dei singoli musicisti, tendono a lasciare poco di sé ad ascolto finito, non riuscendo a trasmettere le stesse sensazioni avute in apertura e con quel “senso di già sentito” che aleggia in tutta la loro durata. A ‘Faux Pharaoh’, primo singolo estratto da “Lucifer II” e reso noto sul finire del 2017, il compito di risollevare le sorti di un album che si annunciava di ben altra caratura. Canzone ben strutturata che sembra avere più di qualche punto di contatto con quanto espresso dai Lucifer in “Lucifer I”.
Inutile nascondere che un pizzico di delusione possa trasparire a fine ascolto di “Lucifer II”. Detto questo, però, è altrettanto innegabile come il disco non debba essere considerato un lavoro non riuscito. È un album curato, ben suonato e prodotto, “solamente” si rivela sotto le aspettative e, qualitativamente parlando, uno scalino sotto rispetto al predecessore. Peccato, se tutte le canzoni avessero mantenuto l’ispirazione del trittico iniziale, “Lucifer II” avrebbe potuto sicuramente rientrare nei top album di questo 2018. Si sa, quando i nomi coinvolti sono di primissimo livello, da loro si pretende sempre il massimo e anche una piccola “indecisione” può essere vista come un obiettivo non raggiunto. Di sicuro il futuro renderà giustizia ai Lucifer, e vista la qualità espressa dagli highlight di “Lucifer II” non mettiamo in discussione questo aspetto, ora, però, dobbiamo concentrarci sul presente, e gustarci al meglio le parti migliori della seconda prova dei Lucifer e chiudere un occhio su qualche piccolo “scricchiolio” che incontreremo durante l’ascolto.
Marco Donè