Recensione: Lunaria – I racconti del falò
A distanza di due anni dall’EP d’esordio, L’Feu e la Stria, tornano i LUM, un duo torinese che propone un raw black metal melodico, fortemente condizionato dal folclore nostrano.
La formazione è sempre la stessa, con S (The Ghost Gardener) alla voce e batteria, e Khurura Abro (Feralia, Inchiuvatu, Ponte del Diavolo) alla chitarra, basso e batteria. Il duo prosegue con quanto fatto vedere nel precedente EP: un raw black metal violento e minimalista, coinvolgente, avvolgente e selvaggio, dal forte sapore nordico, il cui utilizzo delle tastiere e flauti danno un tocco folcloristico alla loro musica, riportando in Italia le sonorità dei LUM.
Anche l’artwork, opera di Simone De Vita, ricalca stilisticamente il suo predecessore creando una piacevole liaison: una fiamma campeggia sulla sinistra mentre a destra, c’è l’immagine di una donna di un’epoca passata, con tatuati, sul petto, dei simboli che richiamano elementi propri della stregoneria. Orch ci introduce nel mondo di Lunaria – I racconti del falò: tra tastiere, con forti dissonanze e bassi molto pronunciati, è tetramente epica: due minuti e mezzo in cui il tema principale viene ripetuto ritualisticamente, dandoci un assaggio di ciò che stiamo per ascoltare. Il vento, e il rumore del fuoco che arde sono i primi rumori di Primavera il tuo nome; il fraseggio di chitarra e tastiere costituisce il motivo principale, una inquietante nenia che anima il brano e si sviluppa, estendendo le sue tetre e magiche radici per tutta la durata dello stesso. Ben presto viene travolto dalla cieca furia dei LUM. La stirpe del bosco è la gemma più oscura e cruda di questo lavoro, mentre Libera fiamma è il più melodico ed inquietante del disco: un pezzo le cui sinfonie ricordano quelle dei Cradle of Filth – impreziosite dal flauto di Dora Chiodini (già presente in altri due pezzi). La notte cavalca è un inno alla forza e solennità della natura, un piacevole intermezzo che conduce l’ascoltatore attraverso un bosco che racconta storie di magia, e che ci conduce per mano verso le disturbanti atmosfere di Figli del crepuscolo: riff graffianti e incisivi sembrano scuoiare le orecchie dell’ascoltatore e la voce diabolica di S, valore aggiunto, si contrappone alle melodie del flauto e delle tastiere “nascoste” nel brano. Sangue ancestrale alza i giri, con le chitarre che spingono a grande velocità e trascinano la voce sugli stessi ritmi, divenendo a tutti gli effetti, essa stessa, uno strumento. Chiude La montagna dentro, che apre con una nenia introspettiva di chitarre e tastiere che costituiscono il motivo portante attorno al quale la canzone si evolve assumendo toni devastanti e violenti, che lasciano un retrogusto di orrore; il cerchio, figura molto cara alla stregoneria, si chiude così come era iniziato: ovvero, con il rumore di un fuoco che arde, quello del falò attorno al quale ci siamo seduti per ascoltare queste otto canzoni.
Questo debutto ha parecchie luci. Molti gruppi black metal italiani attingono da fonti esoteriche per i loro progetti musicali, e questo è un elemento filosofico che va a costituire una importante base attorno a cui costruire la propria proposta, ma i LUM lo fanno in modo pieno e totale, traducendo in note quelle che sono le parole che animano i testi delle loro canzoni. Ascoltando questo disco, non si può fare a meno che pensare al dio Giano, la divinità dalle due facce: una melodica, che a tratti ricorda i Cradle of Filth nella capacità di creare quei segmenti di sinfonici dei loro brani; l’altra ruvida e violenta, volutamente e ricercatamente lo-fi. Questa dicotomia che pervade l’opera, non fa altro che alimentare a dismisura gli elementi che lo compongono: così come le melodie della voce di S, che, da un ascolto superficiale potrebbero sembrare troppo minimaliste, sono in realtà uno strumento delle mani del duo, finalizzato alla creazione di quelle atmosfere soprannaturali e occulte, proprie della stregoneria italiana. E a questo punto, occorre sottolineare come il supporto del flauto di Dora Chiodini in La stirpe del bosco, Libera fiamma e Figli del crepuscolo sia particolarmente azzeccato, perché contribuisce a dare al loro lavoro quel tocco folcloristico che rendono più “italiano” questo Lunaria – I racconti del falò.
Incanto.