Recensione: Lunaris
Nell’oscurità della notte, nel silenzio sinistro della natura, c’è soltanto una luce bianca e fredda a dare forma alle cose, a dar vita alle ombre, a dar voce agli spiriti: la luce lunare. Dal bagliore notturno i polacchi Arkona partoriscono la sesta creatura nata da una formazione del tutto rinnovata rispetto a quella del passato.
Capeggiata dallo storico bassista e cantante Khorzon, autore quest’anno del terzo album solista “Creatio Cosmicam Bestiae” con il suo side project Mussorgski, la band di Perzòw plasma sei spettrali ombre racchiuse in un cerchio astrale chiamato “Lunaris”. L’album è senza dubbio convincente sotto ogni aspetto a partire dall’ottima produzione, che dona al sound un solido equilibrio ed una nitidezza brillante, particolare non di poco conto che, come un satellite, ruota attorno al corpo principale: la musica.
Le sei tracce sono molto intense e mai brevi, la durata infatti va dai sei minuti e mezzo di “Lunaris” agli oltre nove minuti di “Droga Do Ocalenia”, ma questo particolare non deve destare alcun timore in colui che ne beneficia perché l’ordinarietà è lontana anni luce.
Le sonorità cupe fanno calare una fitta nebbia che viene alimentata dalle tipiche ritmiche black, tanto perfide quanto taglienti, associate a sfuriate martellanti dall’impeto velenoso. A valorizzare il disco ci pensano repentini cambi di tempo ed innesti orchestrali e melodici che alleggeriscono il pesante mantello oscuro indossato da ogni brano. In una dimensione priva di gravità la voce caustica di Necrosodom (qui come ospite) incendia particelle di rabbia che, come fuochi fatui, vincono per un attimo le tenebre imponendo la propria esistenza.
In “Lunaris” gli Arkona danno spolvero alle loro capacità compositive rispettando i canoni dettati dal genere aggiungendo enfasi e mistero ad un lavoro che nel cuore della notte non esita a brillare di luce ultraterrena.
Nel black metal, pur suonando buona musica, non è facile distinguersi ma gli Arkona riescono a farlo creando atmosfere che varcano il confine tra l’epico ed il terrificante proiettando, così, raggi cosmici di inatteso incanto.