Recensione: Lupaus
Sei anni di silenzio ed ora, a spezzare questa pausa, un nuovo full-length per i finlandesi Ajattara. Il progetto vede protagonista Ruoja, aka Pasi Koskinen, ex storico membro degli Amorphis.
Il progetto lascia dietro di sé alcune velleità più moderne in “Murhat”, tornando idealmente al black metal. La band ha sempre avuto una certa attenzione per le ambientazioni, atmosfere dai connotati epic che si mescolano a melodie e ad una poliedrica interpretazione vocale.
“Saatanan sinetti” è il primo episodio del capitolo, il più veloce ed aggressivo del lotto. I successivi capitoli dell’album hanno cadenze molto più accessibili, capaci certamente di avvicinare un pubblico molto ampio e magari non avvezzo a toni cupi.
Una vena folk/pagan è innegabilmente sfumatura di “Lupaus”, il cui livello resta discreto senza però mai emozionare fino in fondo. Al di là di questioni tecniche, sulle quali comunque non ci sarebbe nulla da eccepire, i musicisti non riescono sino in fondo a convincerci.
Parliamo in primis di una mancanza di qualcosa che li distingua dal resto del genere, unitamente ad una passionalità che non scotta e non ci smuove mai davvero dalla poltrona sulla quale siamo seduti. Non ci sono quelle cavalcate che facciano ciondolare la testa, o armonie che arrivino dritte al cuore. Sembra quasi gli artisti si accontentino di non colpire a morte la preda, lasciandosela sfuggire con sufficienza. Spunti, a conti fatti, non ce ne sono tanti, se non forse un uso quasi “vetusto” delle tastiere, anomalo per il contesto melodic black. Su questo aspetto forse gli Ajattara dovrebbero puntare, sviluppando ulteriormente atmosfere che restano altrimenti per ora solo accennate.
I clichè sono pedissequamente rispettati anche a livello testuale, citando diavoli e preghiere al maligno come se non ci fosse un domani. Aspetto quest’ultimo che ci lascia in bocca ancor di più un sapore di déjà vu. Attivi ormai dal 1996, con alle spalle otto full-length ed una carriera ormai già “consumata”, gli Ajattara ci hanno sempre dato l’idea di non mai fare quel necessario passo che li faccia davvero ricordare nel contesto estremo. Mai dire mai, ma oltre una discreta sensazione non riescono proprio a suscitare. Incompiuti.
Stefano “Thiess” Santamaria