Recensione: Lupi Amoris
Meglio tardi che mai! È il caso di dirlo per questo “Lupi Amoris” che, uscito lo scorso giugno su Magnetic Eye Records, è il primo full lenght degli Heavy Temple, formazione Psychedelic Doom statunitense attiva da quasi dieci anni. Va detto però che non si tratta del loro debutto discografico assoluto. Infatti la band, nata a Philadelphia su impulso della cantante e bassista High Priestess NightHawk (aka Elyse Mitchell), nonostante i numerosi cambi di lineup che ne hanno tormentato l’esistenza, ha dato alle stampe gli EP “Heavy Temple” nel 2014 e “Chassit” nel 2017.
Queste prime produzioni sono caratterizzate da un un’impostazione sabbathiana rielaborata in chiave psichedelica, in cui la preminenza di basso e linee vocali è conseguenza diretta del fatto che NightHawk era – allora – la sola compositrice e componente stabile. Nonostante le suddette prove siano più che convincenti, un simile approccio stilistico, complice il cantato femminile dal sapore ritualistico, non aiuta il gruppo a distinguersi da realtà più in vista della stessa scena come Blood Ceremony e Jex Thoth.
Nel nuovo “Lupi Amoris”, con una formazione finalmente assestata (che vede accanto a High Priestess NightHawk il batterista Baron Lycan e il chitarrista Lord Paisley) e pur mantenendo intatta la matrice Psych Doom, il gruppo apre in modo deciso allo Stoner e all’Heavy Rock, proseguendo nella direzione intrapresa con il brano “Hit It and Quit It” (contenuto nello split del 2020 con i Wolf Blood), articolato su un dialogo tra chitarre Heavy Blues/Rock e organo Hammond. Grazie all’accresciuto affiatamento tra i componenti, gli Heavy Temple raggiungono nuovi e più convincenti equilibri, con le chitarre che finalmente acquistano la preminenza che spetta loro di diritto in un disco di Rock/Metal psichedelico, una sezione ritmica molto più dinamica che in passato e un cantato pieno e coinvolgente che, prendendo le distanze dal precedente stampo ritualistico, riesce a risultare più personale. La produzione, semplice e immediata, centra l’obiettivo di catturare e restituire l’energia di una proposta che – specialmente nei passaggi strumentali – si avvicina al vibe di una performance dal vivo.
L’attacco “A Desert Through the Trees” è all’insegna di uno Stoner di scuola Acid King: dopo un attacco d’impatto ritmicamente sostenuto, alterna rallentamenti e ripartenze arricchendo il tutto con assoli lisergici. La successiva “The Wolf” rievoca i primi lavori del combo: la sezione strumentale iniziale, atmosferica e onirica, è seguita da riff lenti e fangosi che definiscono un sound ascrivibile alla tradizione di band come Jex Thoth e Witch Mountain. “The Maiden”, collegata senza soluzione di continuità alla precedente (tanto che i due brani, a detta della stessa autrice, sono di fatto un’unica lunga composizione) e “Isabella (With Unrelenting Fangs)” sono le principali sorprese dell’album. Nonostante l’inclinazione Stoner della prima e Doom della seconda, in entrambe si riconosce un’impostazione da jam session, con un mood da improvvisazione e digressioni psichedeliche che a tratti richiamano gli heavy rockers Earthless. La conclusiva e strumentale “Howling of a Prothalamion” è aperta da un tappeto di sintetizzatori su cui si innestano un drumming sincopato e schitarrate ultra-dilatate, in un delirio Stoner/Doom che, pur non spiccando per originalità, si distingue per intensità e qualità di esecuzione.
La durata contenuta del platter, che supera di poco la mezz’ora, ben lungi dall’essere dovuta alla scarsità di spunti e soluzioni, è, al contrario, il risultato di un attento lavoro di drenaggio delle idee attuato in fase compositiva e teso alla messa a punto di un contenuto coeso e coerente, senza riempitivi e tracce tirate inutilmente per le lunghe. “Lupi Amoris” è una prova convincente, coinvolgente e di notevole livello qualitativo, che finalmente consacra definitivamente gli Heavy Temple come una delle realtà più interessanti dell’ondata Stoner/Doom dell’ultimo decennio.