Recensione: Lykaia
I Soen sono forse più famosi per il loro carattere troppo derivativo, che per i loro dignitosi due album in studio; vengono tacciati, non a torto, di rifarsi troppo a Opeth e Tool. Certo le potenzialità dei componenti sono sempre state lampanti, tanto da renderci dannatamente curiosi di fronte all’uscita del loro terzo album, Lykaia. La formazione attuale vede l’interessantissima aggiunta di un tastierista, Lars Åhlund, e il cambio del chitarrista (anche in questo caso produttore), ora Marcus Jidell (ex-Royal Hunt, ex-Evergrey). Della line-up iniziale restano il batterista Martin Lopez (ex-Amon Amarth, ex-Opeth) e il cantante Joel Ekelöf; il bassista Stefan Stenberg, invece, è in forze al combo dal secon platter.
Le forti influenze di Tool e Opeth sono ancora ben presenti e lo si sente subito con “Sectarian”, la prima traccia di Lykaia, dove è palese, a mio avviso e come in tutto l’album, anche la lezione dei Katatonia. Ma il basso che ricorda i Tool in “Sectarian”, la voce e la chitarra di derivazione Opeth di “Orison” o l’assolo floydiano di “Lucidity” possono solo incantare, rapire presto, prestissimo, e guidarci in un viaggio bello ed evocativo, lungo un concept appassionante e avvincente, ispirato a un segreto e iniziatico rito arcadico. Quello stesso viaggio musicale che Martin Lopez definisce essenziale per lui e la sua band, un percorso oltre la definizione di genere, attraverso le loro influenze e ispirazioni, pienamente al passo col nuovo corso del prog. Ed è quello che anche l’ascoltatore qui deve fare: non limitarsi a uno sterile riconoscimento delle derivazioni, ma aprirsi a una musica pregevole, suonata con grande maestria, seguendo i testi (anche questi ispirati da Åkerfeldt) e, in effetti, l’ascoltatore attento difficilmente potrà fare altrimenti, tanto Lykaia è avvolgente.
Non ci si può limitare a cercare nel prog sempre e soltanto originalità, si deve riconoscere che la creazione umana in fondo è solo alchimia e, quando lo è sapiente e qualitativa, raggiunge il suo scopo di far divergere il fruitore dal proprio percorso, per fermarsi in questo caso ad ascoltare un album architettato con alta capacità e sapienza, un album dove ogni canzone è funzionale e bella, dove trovare i momenti di più alto gradimento potrebbe essere facile (per esempio davanti alla meravigliosa “Jinn”), ma nel quale saranno più i gusti personali a guidarci verso vette di apprezzamento, che ci faranno riconoscere, dopo sensibili ascolti, il valore dell’intera opera.
Con questo ultimo lavoro i Soen non hanno certo abbandonato le componenti derivative ma le hanno messe a frutto, dando vita al loro lavoro più immediato all’ascolto, proprio perché più maturo e ispirato. Dunque accettate l’invito di Martin e compagni (“This has never been about genres, it’s always been about the journey we need to take both musically and personally, and what we´re working on right now is another adventure, another journey which in some ways is quite different again but also builds upon the experiences we’ve had over the last few years.”, così Lopez) e lasciatevi andare. Sono convinto che troverete un profondo appagamento e più di qualche motivo di riflessione.